Cento di questi Favini

Volete un attore o un esempio di virtù?

di Marco Triolo

Quell’incredibile fabbrica memetica di Boris lo aveva già detto con disarmante chiarezza in un episodio della terza stagione, per bocca di Martellone: «’Na vorta ce stavano i ruoli pe’ gli attori. Adesso li fa tutti Favino». Era il 2010, e la serie di Luca Vendruscolo, Giacomo Ciarrapico e Mattia Torre ridefiniva il significato della parola “profetico”.

Certamente, andando a scorrere indietro la filmografia di Pierfrancesco Favino, scopriamo che Martellone non aveva tutti i torti: nel 2010 l’attore aveva già interpretato L’ultimo bacio, Romanzo criminale e Saturno contro. Allo stesso tempo, sembrava destinato a diventare uno dei pochi attori in grado di affermarsi all’estero con ruoli in Le cronache di Narnia: Il principe Caspian, Miracolo a Sant’Anna e Angeli e Demoni. Favino era, insomma, già un volto riconoscibilissimo, al punto da finire nel tritacarne di Boris come epitome dell’attore onnipresente. Ma c’è un altro dettaglio nella scena di Boris in questione che ci interessa ancora di più, ai fini di questa disquisizione.

La gag, infatti, ruota intorno al fatto che Martellone avrebbe voluto interpretare Pacciani e Spadolini, ma purtroppo Favino ha deciso di ingrassare svariati chili e ha vinto entrambi i ruoli. Ecco, una decina d’anni dopo Favino avrebbe interpretato Bettino Craxi in Hammamet, adempiendo la profezia di Boris. Nel film di Gianni Amelio, Favs recita sotto chili di trucco, si immerge letteralmente nel personaggio come farebbe un attore angloamericano (viene in mente subito il Gary Oldman de L’ora più buia), e ne esce relativamente a testa alta in un film, per il resto, non all’altezza delle sue ambizioni.

È dura pensare a un altro attore italiano adatto a un progetto del genere. Favino è l’attore italiano più americano che ci sia, ed è forse questa la qualità che gli ha permesso di emergere. Perché è facile, a uso ridere, accostare Favino a un Giuseppe Battiston o un Ricky Memphis, quegli attori che, per un determinato periodo di tempo più o meno lungo, fanno ogni – singolo – film – italiano. Ma quelli sono attori che interpretano sempre lo stesso ruolo, anzi che fanno sempre se stessi, non cambiano mai look, non dimagriscono/ingrassano/cambiano accento/si radono a zero/si fanno crescere i baffi. Sono prezzemolini in una maniera «molto italiana», sempre per citare Boris. Favino no. Favino è prezzemolino all’americana, è little parsley, è un trasformista che cura sempre ogni dettaglio in maniera maniacale, dal look (qualcuno direbbe “character design”), all’accento, persino al timbro di voce (vedere L’ultima notte di Amore per credere).

Favino è un bravo attore, che è ben diverso dall’attore BRAVO, un trademark tipicamente italiano di cui Elio Germano è il rappresentante più illustre. Ci siamo capiti, no? Parliamo di quegli attori che recitano intenzi, che pronunciano ogni battuta come se lo spettro di Shakespeare fosse sceso dal firmamento e li avesse scelti per indottrinare le masse con il potere della recitazione. Peccato che, come abbiamo ripetuto svariate volte in questa rubrica, il cinema non sia teatro: al cinema serve un altro tipo di attore, più snello e chirurgico, e Favino è quell’attore.

C’è poi, ovviamente, l’altra questione, quella di cui tutti stanno parlando ora: Favino che va a Venezia e, da bravo attore, decide di dare aria ai denti e blatera di appropriazione culturale e di come non sia giusto che Adam Driver interpreti Ferrari. «’Na vorta ce stavano i ruoli per gli attori, adesso li fa tutti Adam Driver» recita il meme aggiornato. Da un lato Favino ha pienamente ragione, quando se la prende con questa moda terrificante, tutta americana, di far recitare gli attori con degli improbabili accenti posticci manco fossimo in una striscia di Sturmtruppen. Dall’altro dimostra di non avere bene idea di cosa significhi finanziare un progetto così costoso, quando propone che Toni Servillo, Valerio Mastandrea e Adriano Giannini (LOL) – e, per interposta persona, lui medesimo – abbiano la stessa chance di un Adam Driver in fase di casting.

Eppure, colpo di scena!, Favino è un attore. Non è un produttore, un regista, un finanziare, un pensatore. È incredibile che ancora oggi ci si sorprenda quando un attore fa sfoggio di ego, come se le figure celebri che vediamo sugli schermi debbano essere per forza dei modelli di virtù da emulare, e non semplicemente dei tizi che fanno un lavoro che, incidentalmente, li porta a diventare famosi. Favino fa quel lavoro lì. Lo sa fare anche bene, e non è più di tanto colpa sua se fa troppi film. È piuttosto colpa di una industria spesso miope e poco coraggiosa, come ben sappiamo.

Perciò, sì, è un gigione (a proposito di appropriazione culturale, sa fare un’imitazione di Al Pacino che levati!), un piacione, un prezzemolino. Ma è anche un professionista indefesso, un attore moderno, internazionale, che mastica il linguaggio del cinema e fa quello che tutti gli attori dovrebbero fare, ma che pochi suoi colleghi del cinema italiano odierno fanno: recita.

Lo diciamo? Diciamolo: meglio un Pierfrancesco Favino che cento Elii Germani.