
Detour veneziani
A caccia di perle nelle sezioni collaterali della Mostra del Cinema
di Lorenzo Reggiani
Nella Mostra di Venezia che compie 90 anni ma ne ha “solo” 79, e che si può definire altalenante per la qualità della selezione ufficiale, si possono trovare sorprese o film interessanti nelle sue consuete sezioni, che affiancano la principale: Concorso Orizzonti, Orizzonti Extra, Fuori Concorso e Venezia Classici. In questa, ci è molto piaciuto Sergio Leone – L’italiano che inventò l’America di Francesco Zippel, un documentario ricco di interviste, fortemente voluto dalla figlia Raffaella Leone, che richiama (sia pur in tono minore) il film di Tornatore su Ennio Morricone. Sono proprio l’uso delle musiche di Morricone nelle pellicole di Leone, come contrappunto sonoro e come parte integrante e indissolubile della narrazione, e le scelte registiche, che esaltano primissimi piani in contrasto con paesaggi sterminati, a dare origine a un nuovo genere cinematografico, che il documentario analizza compiutamente, fino alla summa di tutta la poetica del regista, il capolavoro del 1984 C’era una volta in America, un gangster movie epico che travalica lo spazio e il tempo, in un loop onirico di straordinaria bellezza.
Bello ed emozionante il ritorno di Walter Hill, che a 80 anni è l’ultimo grande classico del cinema americano, punto di confluenza dei maestri del passato e della generazione a lui successiva: ha presentato fuori concorso Dead for a Dollar, un western in cui si conferma lo specialista di film d’azione in cui la violenza è assoggettata a diversi gradi di stilizzazione e la ricerca di effetti visivi inediti è perseguita con la sperimentazione costante nell’utilizzo delle possibilità offerte dal linguaggio cinematografico, come sottolinea Alberto Barbera che lo ha insignito del Premio Cartier Glory to the Filmmaker. Non avrebbe sfigurato in gara, anche perché supportato dalle interpretazioni di Christoph Waltz, Willem Dafoe e Rachel Brosnahan.
Dall’Iran arriva Arian Vazirdaftari che ci colpisce col suo primo lungometraggio Without Her. Roya e suo marito stanno per emigrare in Danimarca dall’Iran, ma poco prima della partenza i piani della coppia vengono stravolti dall’incontro con la giovane Ziba, che è smarrita e sembra aver perso la memoria, ma medita in realtà di prendere il posto di Roja, che l’ha aiutata prendendola con sé.
Il romano figlio d’arte Fulvio Risuleo conferma il suo talento con il suo terzo lungometraggio Notte fantasma. Tarek ha in programma una serata con gli amici, ma compra qualche grammo di fumo per cui viene fermato da un poliziotto in borghese. L’uomo, misterioso e minaccioso e al contempo gentile e affabile, invece di portarlo in distretto lo costringe a passare con lui tutta la notte… Tra risse, inseguimenti e fughe, la loro notte diventa una corsa rocambolesca, compressa in uno spazio sempre più rarefatto, astratto. Il poliziotto è un Edoardo Pesce da ricordare.
È nel villaggio kazako di Karatas che si ambienta la storia di Goliath di Adilkhan Yerzhanov. Poshaev, un ufficiale locale sconsiderato e spregevole, governa il villaggio da tempo e, nonostante procuri alloggio e impiego a tutti i suoi cittadini, condanna a morte chiunque osi sfidare la sua autorità. La famiglia del povero Arzu, la cui moglie informa le autorità dei crimini che avvengono in città, subirà lo stesso destino.

L’ucraino Antonio Lukich in Luxembourg, Luxembourg racconta con ironia e partecipazione senza retorica la vicenda di due gemelli che scoprono che il loro padre, che li ha abbandonati nella loro infanzia, vive in Lussemburgo e sta per morire. Mentre uno dei due vuole andare a fargli visita, l’altro esita ma finisce per aggregarsi. L’epilogo è inaspettato e amaro.
È un “vaso di pandora” ciò che lo scrittore e regista francese Simon Wallon scoperchia: Bonnie è il titolo del docufilm incentrato sulla direttrice di casting Bonnie Timmermann, il cui lavoro ha dato innovative propulsioni al cinema e alla TV degli anni 80 e 90. Un viaggio nei suoi metodi di lavoro, nei suoi rapporti coi cast diretti e – in generale – nell’organizzazione del complesso microcosmo nascosto dietro la macchina da presa, attraverso esclusivi filmati di provini, e interviste mozzafiato rivolte a lei e ai brillanti registi e attori con cui ha lavorato.
Originale e spiazzante, intrisa di tratti grotteschi, l’opera dell’iracheno Ahmed Yassin Al Daradji, Hanging Gardens, il cui protagonista è un dodicenne che raccoglie immondizia nelle discariche di Baghdad. Un giorno si trova a contestare i valori della sua fondamentalista e patriarcale comunità a causa dei suoi sentimenti verso una bambola sessuale, che lui umanizza, pulisce, veste, chiama Salwah (che significa conforto e salvezza). Ma il mondo violento ed oppressivo attorno a lui non intende lasciar correre.

Il titolo più atteso (al varco) in concorso alla Mostra era Blonde di Andrew Dominik, che si rivela una grande delusione: un viaggio crudo e kitsch, lungo 2 ore e 40, nella mente di una diva senza tempo, Marylin Monroe. La maschera ridente di Marilyn e quella piangente di Norma Jean hanno il viso minuto e gli occhi grandi della “aliena” cubana Ana de Armas, che si conferma un’attrice notevole, e che salva (per quel che si può) il film. Da noi è uscito su Netflix (dove, per la prima volta in assoluto, è stato marchiato dal divieto di visione ai minori di 17 anni), piattaforma che, sbarcata al Lido con tre film sontuosi e costosissimi (oltre a Blonde, Bardo e Rumore bianco), se ne torna a casa con le pive nel sacco.