Henry Cavill, o della domesticazione del cane
Da superuomo a immortale, da buco nero di carisma a eroe dei nostri tempi
di Marco Triolo
Girano queste foto di Henry Cavill mentre assembla un PC da gamer, e probabilmente sono la migliore sintesi del mondo di oggi in assoluto. Ultimamente si usa il termine gatekeeping per indicare la nostra tendenza malsana a ragionare per stereotipi: da un lato c’è il nerd che gioca ai videogiochi e non ha vita sociale, dall’altro il “bronzo de Riace” che ama lo sport ed è estremamente popolare con le ragazze. Una volta queste distinzioni erano accettate da tutti, oggi stanno scomparendo, forse perché tutti girano con in mano un computer potentissimo che permette loro di fruire costantemente di contenuti di qualunque genere. Insomma, se un tempo era facile individuare i nerd, o i geek, in coloro che facevano una vita sedentaria davanti a uno schermo, oggi viviamo tutti e sempre davanti a uno schermo, e gli Henry Cavill non sono più un’eccezione.
Per cui, forse, il motivo per cui le foto di questo “bronzo de Riace” che assembla un computer hanno destato tanta sorpresa è perché a commentarle è soprattutto un pubblico che ha circa la sua età, gente della generazione X o i primi millennials, non abituata a questa “fluidità”. Gente che, sentendosi improvvisamente rappresentata da uno molto figo e popolare, ha reagito con gioia: “Henry Cavill uno di noi!”. Improvvisamente, le stesse persone che lo avevano detestato nel ruolo di Superman hanno iniziato a trovarlo simpatico.
Sì, Henry Cavill è simpatico. Ma non siamo qui per questo.
Nel 2012, o giù di lì, viene annunciato che Henry Cavill, star della serie televisiva I Tudors, sarà il nuovo Superman. La reazione è buona: Henry ha il phisique du role, sembra uscito direttamente da un fumetto di supereroi. Dopo la delusione di Superman Returns, il mondo degli appassionati è lieto di dare il benvenuto a un nuovo progetto che sembra aver scelto l’attore adatto, anziché tentare di rianimare ancora una volta il povero Christopher Reeve, e che è sulla strada giusta per regalarci un Superman al passo coi tempi, svecchiato degli elementi più anacronistici, con addirittura il nuovo guru dei supereroi per grandi, Christopher Nolan, alla produzione.
L’anno seguente esce L’uomo d’acciaio e l’incantesimo si spezza con fragore: colpa di una lettura del personaggio discutibile, ma, sorpresa sorpresa, colpa anche dello stesso Cavill, un buco nero di carisma capace di risucchiare la luce intorno a sé. Per dirla alla Boris, un cane maledetto, legnoso e inespressivo. Ma è davvero tutta colpa sua o c’entra anche la direzione di Zack Snyder, quella sua ossessione per i superuomini distanti e intoccabili? Snyder abbraccia il lato più mitologico della DC Comics: i suoi supereroi più celebri, a parte Batman, sono di fatto divinità, eroi senza macchia e senza paura. Col tempo, e soprattutto dopo la nascita della rivale Marvel, la DC ha dovuto stemperare questo aspetto per avvicinarsi ai rinnovati gusti di un pubblico che cercava eroi più vicini alla propria esperienza quotidiana, eppure questa lettura dei personaggi DC è sopravvissuta sottopelle. Snyder l’ha fatta sua, scegliendo un approccio diametralmente opposto a quello del Marvel Cinematic Universe. Non necessariamente un male, ma in questo contesto forse sarebbe servito un attore più capace di lavorare sulle sfumature.
Che la colpa sia almeno in parte da attribuire a Zack Snyder lo dimostrano due ruoli successivi che hanno messo in luce aspetti diversi di Henry Cavill: da un lato quello di August Walker in Mission: Impossible – Fallout, dall’altro Geralt di Rivia, il cacciatore di mostri della serie Netflix The Witcher. In Mission: Impossible, Cavill si dimostra capace di gestire la ruvidezza del personaggio e la malizia del suo sguardo, cogliendo alla perfezione quello che ne L’uomo d’acciaio pareva fuori dalla sua portata: le sfumature. Walker è un personaggio che vive in una penombra, un villain che non deve sembrare subito tale. Domanda un’interpretazione molto precisa, e Cavill è stato in grado di fornirgliela.
The Witcher sembra invece aver fatto a Henry Cavill il dono del carisma: l’attore acquista presenza scenica, si giostra fra serietà e ironia, recita più col corpo che con la voce, ma, quando apre bocca, lascia il segno. È diventato improvvisamente un bravo attore? Di certo un attore migliore, ma d’altro canto anche George Clooney era un cane finché non sono arrivati i fratelli Coen.
La parabola professionale di Henry Cavill è arrivata a una chiusura del cerchio inaspettata quando l’attore è stato reinvitato a interpretare Superman in un cameo in Black Adam. Per un attimo, anche grazie al potere della nostalgia, erano tutti contenti di rivedere Henry con il costume rosso e blu. Forse, si bisbigliava negli ambienti geek, con una direzione migliore e una migliore lettura del personaggio, qualcosa di buono stavolta la Warner sarebbe riuscita a cavare da questo casting così vituperato in passato. Poi, purtroppo per Henry Cavill, le cose non sono andate come lui avrebbe voluto, e il nuovo capo della DC, James Gunn, ha scelto un nuovo Superman (David Corensweth). Nel frattempo, Henry si è pure licenziato da The Witcher perché, da nerd e gamer qual è, non era d’accordo con la direzione creativa della serie.
Cosa resta per lui? In futuro dovrebbe prendere il posto di un altro Christopher, Lambert, nel reboot di Highlander, per la regia di Chad “John Wick” Stahelski. Una buona occasione per cesellare ulteriormente i muscoli. Quelli facciali, s’intende