Ridley Scott e l’arte del fregarsene

Come ho imparato a smettere di pensare ad Alien e godermi lo show

di Marco Triolo

Alle medie avevo un professore che, probabilmente, era bipolare: a volte era simpaticissimo, una fucina di battute a raffica e intrattenimento di alto livello; a volte imponeva un silenzio di tomba con un’espressione greve, e interrogava con cattiveria e frustrazione repressa. Appena entrava in classe lo capivi subito come sarebbe andata, a seconda che fosse vestito casual o con la giacca di tweed, ma, fino a che non lo vedevi fare capolino dalla porta, non potevi sapere cosa aspettarti quel giorno. Ridley Scott è un po’ così: può capitarti un The Martian o un House of Gucci, ma lo saprai #soloalcinema.

L’occasione di parlare di Sir Ridley in questo nuovo e sfavillante appuntamento con Cane o Mito? è arrivata con l’uscita di Napoleon, l’ultima sua fatica che, da un lato, si fa ammirare perché Ridley Scott ha ancora la capacità di dirigere l’azione come pochissimi registi in attività oggi, e fa parte di quella schiera di vecchi leoni (che comprende anche, ovviamente, George “Mad Max” Miller) in grado di dare del filo da torcere alle nuove leve. La battaglia di Waterloo, con la macchina da presa piazzata al centro della mischia che riprende la lotta come fosse un vortice da cui è impossibile riemergere, è obiettivamente da mascella a terra. Peccato per il resto del film, un polpettone algido con un protagonista sbagliatissimo, annoiato e diretto male, come se a Scott non fosse interessato nulla della storia di Napoleone, ma avesse accettato solo per dirigere le scene di battaglia. E magari è proprio così.

Perché se c’è una cosa che ormai è evidente, e che Ridley Scott non ha mai tentato di nascondere, è che, a 86 anni (ottantasei, lo scrivo anche in cifre come per i vaglia postali), non gliene può più fregare mezza di quello che pensi tu. È normale che, più si va avanti con l’età, più i filtri tra quello che uno pensa e quello che dice spariscano. Solo che non tutti hanno una piattaforma come quella di Scott per dimostrarlo al mondo. Essendo ancora pienamente in attività e molto prolifico (ha quattro film tra lavorazione e pre-produzione, tra cui Il Gladiatore 2, che suona quasi più come una minaccia che non un film), Ridley viene intervistato parecchio e, come si suol dire in questi casi, non le manda a dire: a proposito delle critiche francesi a Napoleon ha dichiarato che «francesi non amano nemmeno loro stessi». A proposito del flop del pur ottimo The Last Duel, ha detto che da incolpare sono «i millennian» (sic), che «non vogliono imparare niente a meno che non glielo mostri sul telefonino».

È ovvio, dunque, che questo non può essere un buon punto di partenza per una filmografia quanto meno consistente nella qualità. A vedere certi film che il buon Ridley dirige oggi, come Alien: Covenant e Tutti i soldi del mondo, si ha l’impressione che Scott li abbia accettati più per le potenziali sfide estetiche/tecniche che non per la sceneggiatura. Anzi, è evidente ormai che delle sceneggiature dei suoi film non gliene freghi più niente, nel bene e nel male – è già tanto se le legge. Tanto è vero che, quando per caso gli capita uno script di ferro, come quello di The Martian – scritto da Drew Goddard a partire dal già solido romanzo di Andy Weir – il risultato è un nuovo classico. Perché, attenzione, lo ribadiamo: Ridley Scott ha ancora un occhio fantastico. È un esteta che viene dal mondo della pubblicità e ha saputo fondere i due linguaggi raggiungendo vette elevatissime (dobbiamo citare Alien e Blade Runner per contratto, quindi citiamoli). L’unica differenza tra il vecchio e il nuovo Ridley è, forse, proprio il fatto che a quest’ultimo interessa relativamente cosa dirige. Gli interessa dirigere, punto. Vuole lavorare. Come biasimarlo?

Viene in mente Tony Scott, il fratello minore di Ridley che ci ha lasciati troppo presto nel 2012. In un certo senso, i due hanno fatto un percorso inverso agli occhi della critica: Tony è stato rivalutato col tempo, si è capito che quella estetica patinata di provenienza pubblicitaria è stata fondamentale nel definire il look degli anni 80 e 90. Tony non ha mai abbandonato il genere e non ha mai avuto in carriera le velleità autoriali del fratello maggiore, ma possiamo dire che col tempo sia diventato quasi sperimentale nelle sue scelte estetiche (vedi Man on Fire e Domino). Ridley, dal canto suo, ha invece perso via via i favori della critica ed è passato da un cinema più personale alla manovalanza – non bassa, sia chiaro, ma comunque manovalanza. Perché se nello stesso anno mi giri The Last Duel e House of Gucci e in pochi anni mi sputi fuori Prometheus, The Counselor – Il procuratore, Exodus – Dei e Re e The Martian, perdonami, ma fatico a cogliere una visione d’insieme. Comunque è sempre meglio un fallimento interessante (sto parlando con te, Prometheus) di un’intera filmografia di film perfettini ma gelidi. Ridley Scott: ora e sempre, lasciatelo lavorare.