Musica e blockbuster

Tutorial per colonne sonore dimenticabili

di Simone Coghi

«La musica da film usa configurazioni standard per interpretare il significato dell’azione a favore dei membri meno intelligenti del pubblico. Nessun compositore serio scrive colonne sonore se non per ragioni economiche». Queste parole impietose venivano scritte dal filosofo e musicologo tedesco Theodore W. Adorno nel 1947, nel suo saggio Komposition für den Film. Eppure, per quanto impietose, sembrano parlare delle musiche da blockbuster dei giorni nostri, spesso dimenticabili e nulla più che un commento ridondante. Qualcuno saprebbe canticchiare il tema di Blade Runner 2049? Quanti, invece, appena sentono le musiche composte da Vangelis per il Blade Runner originale, vengono immediatamente proiettati nella Los Angeles distopica creata da Ridley Scott nel 1982? Cos’è però che rende una colonna sonora un commento sonoro superfluo, all’altezza delle parole di Adorno? Un interessante video essay pubblicato dal canale YouTube Every Frame a Painting si interroga sulla questione, prendendo in esame le colonne sonore dei film Marvel e trovando tre principali punti critici. Il primo punto è inserire musica ovunque, non lasciando mai parlare da sé le immagini, sovraccaricandole inutilmente. Si tratta in questo caso di tutte quelle scene in cui le musiche vengono inserite senza essere realmente necessarie, senza che suscitino una reazione emotiva, provocando così l’effetto “condizionatore in sottofondo”: nel giro di pochi minuti la musica smette di farsi notare e diventa rumore.

Il compositore Hans Zimmer nel suo studio

Il secondo punto è, quando invece la scena richiede un commento emotivo, fare sì che questo commento sia del tutto prevedibile. La scena è paurosa? Inserisci musica paurosa. La scena è triste? Inserisci degli archi struggenti. La scena è allegra? Inserisci musica allegra. In questo modo la musica non acquista personalità propria, ma resta un commento sovrabbondante a ciò che già sappiamo. Infine, il terzo punto è non lasciare mai che la musica parli da sola. Se per il primo punto era importante che la musica venisse inserita anche quando non necessaria, qui l’idea è opposta: anche quando la musica potrebbe parlare da sé, è sempre meglio aggiungere un dialogo o una voce che spieghi senza lasciare dubbi quanto sta accadendo in scena. È interessante chiedersi come mai si sia giunti a queste colonne sonore senza personalità propria. La prima semplice spiegazione, è che questa è la scelta più sicura: non si corre mai il rischio che qualcuno fraintenda la scena, si accompagna anche lo spettatore più distratto nella comprensione del film e di sicuro non ci si sbaglia. Ci sono però altre due affascinanti spiegazioni del fenomeno, ossia quello che potremmo chiamare “effetto Hans Zimmer” e il fenomeno della temp music. Originariamente, la musica da film era affidata a grandi orchestre: un grande costo per la produzione e una grande scomodità se per caso, a film ultimato e musica registrata, il regista avesse deciso che la musica non era di suo gradimento. Hans Zimmer rivoluzionò questo mondo, imponendo per la prima volta i sintetizzatori nel panorama cinematografico commerciale.

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Grazie anche all’innovazione del montaggio non lineare, con cui si poteva lavorare separatamente su audio e video, l’uso di sintetizzatori rese la lavorazione molto più rapida, meno costosa e più facilmente modificabile. Un gran bottino per le case di produzione, che ora potevano ottenere a prezzi molto più contenuti musiche praticamente identiche a quelle suonate da un’orchestra, giusto? Ovviamente no. I sintetizzatori, infatti, possono imitare facilmente le percussioni, i timpani o i violini all’unisono, ma difficilmente potranno emulare il virtuosismo di un violino solista, di un flauto o di un clarinetto. In questo modo le colonne sonore che si creano non saranno mai melodiche, ma piuttosto una texture di suoni a fare da riempitivo alle immagini. Che siano tamburi, violini o ottoni, ogni strumento viene usato come percussione et voilà: ecco la colonna sonora di Batman – The Dark Knight. Nessuno saprebbe canticchiarla? Chissà perché. «La temp music è il veleno della mia esistenza». Così Danny Elfman, compositore e collaboratore fidato di Tim Burton, si esprime a proposito di un altro fenomeno tipico dei film blockbuster. Essenzialmente la temp music è la colonna sonora di un film già esistente, usata dal regista temporaneamente in fase di montaggio, per avere un’idea di come il film suonerà quando la colonna sonora originale sarà ultimata.

Titus (1999) di Julie Taymor

Ciò che molti compositori lamentano, però, è il fatto che le musiche temporanee si fissino indelebilmente nella mente del regista, cosicché nessun’altra musica renderà la scena esattamente come ormai l’ha immaginata. Accade, allora, che il regista chieda al compositore di scimmiottare la temp music ai limiti del plagio, facendo sì che i blockbuster, scopiazzandosi spudoratamente a vicenda, attingano ispirazione da un bacino sempre più ristretto di fonti e suonino sempre più simili. Il fenomeno è sistemico e di proporzioni gigantesche (per approfondire, esiste un intero account Twitter chiamato Sounds Like Temp che confronta estratti di colonne sonore con quelle dei film da cui vengono plagiate). Il caso più eclatante è stato nel 2007, quando la Warner Bros ha dovuto pubblicamente scusarsi per la canzone Returns a King in 300, palese plagio di Victorious Titus dal film Titus. Questa l’amara diagnosi. L’antidoto? Una buona dose di Wong Kar-wai potrebbe bastare.