NUCLEAR, NO-CLEAR

Documentario e propaganda

di Riccardo Chiaramondia

In un’intervista rilasciata a «Deadline» in occasione della presentazione al Festival di Cannes del 2021 di JFK Revisited: Through the Looking Glass, Oliver Stone ha dichiarato di essere scioccato dal fatto che, due dei film vincitori del premio Oscar come miglior documentario nei quattro anni precedenti, fossero opere di propaganda. Le contestazione è rivolta contro Caschi bianchi, reo di aver riportato informazioni errate e, successivamente, smentite da giornalisti specializzati sulla guerra in Siria e Icarus, trattante lo scandalo doping in Russia e, non venendo preso in considerazione il punto di vista opposto, ritenuto un attacco diretto contro il regime putiniano, al punto da definire il film simile a un atto di guerra calda.

Le affermazioni di Stone, sebbene condivisibili da un punto di vista teorico, lasciano alcune perplessità se considerate in relazione alle sue opere, in particolare a Nuclear, presentato nell’ultima edizione del Festival di Venezia. Il film, infatti, appare come la perfetta incarnazione delle critiche mosse verso Caschi bianchi e Icarus, al punto che, indipendentemente dalla posizione dello spettatore riguardo al tema dell’energia nucleare, risulta impossibile sostenerne la visione senza esserne infastiditi.

Il documentario si articola in due parti, un breve excursus sulla storia dell’energia atomica e una celebrazione dell’importanza della sua adozione nella società odierna. La digressione storica è, però, piena di falle in cui dati e avvenimenti vengono riportati parzialmente: ne è un esempio la presentazione del discorso Atoms for Peace, che tenne il presidente Dwight Eisenhower l’8 dicembre 1953 presso l’Assemblea generale delle Nazioni Unite. Questo discorso, come giustamente riportato da Stone, è stato un tentativo di appianare le tensioni legate al possibile utilizzo bellico dell’energia nucleare e di reindirizzare le ricerche a essa legate verso un’applicazione industriale, ma ciò che è stato tralasciato è uno dei motivi alla base delle dichiarazioni dell’allora presidente degli Stati Uniti. L’Unione Sovietica, infatti, aveva ormai raggiunto un livello di sviluppo tale da permettere loro di produrre armi atomiche e annullare l’egemonia americana in questo settore.

Risulta difficile pensare che un conoscitore della storia come Oliver Stone, autore insieme a Peter Kuznick, professore presso l’American University di Washington, del saggio The Untold History of the United States, non fosse a conoscenza di questa contingenza e del fatto, anch’esso tralasciato, che gli esperimenti bellici statunitensi proseguirono negli anni successivi. Inoltre, come sottolineato in Nuclear, controargomentando una possibile critica legata agli utilizzi in guerra, è di fondamentale importanza separare i concetti di arma e di energia nucleare essendo essi indipendenti: ma, se il regista è consapevole di questo, omettere in un excursus narrativo la continuazione dei test americani risulta essere una mistificazione non necessaria degli avvenimenti a favore degli Stati Uniti.

Nella parte esplicativa, invece, il film si macchia delle stesse colpe che il regista contesta a Icarus: gli specialisti intervistati e le fonti utilizzate sono tutte a favore del nucleare e non viene mai data parola agli oppositori. Il documentario, inoltre, è interamente narrato dallo stesso Stone che, in un continuo flusso di parole, sottolinea l’importanza dell’adozione di questa energia con dati, spiegazioni scientifiche e le parole dei suddetti esperti corredati da immagini evocative, volte a impressionare lo spettatore, mentre nei pochi momenti in cui presenta le tesi avverse, sempre espresse attraverso la sua voce, esse vengono ridicolizzate e, anche visivamente, il film degrada. Un esempio chiaro di questo modo di operare è la riduzione degli antinuclearisti, soprattutto dopo l’incidente di Fukushima, a persone troppo influenzate dalla visione di film, in particolare Pandora, opera coreana di limitato successo. Un’affermazione di questo tipo, evidentemente volta a sminuire l’opposizione, porta ancora una volta a dubitare dell’onestà intellettuale di un autore profondamente capace di sfruttare la narrazione e le immagini come Oliver Stone. Questi sono solo alcuni esempi di una serie di incongruenze e scorrettezze presenti in Nuclear, che, oltre a evidenziare l’ipocrisia delle parole del regista riportate in apertura, fanno sorgere alcune riflessioni sul target del film e sul suo impatto. Un documentario di questo tipo, con un malcelato intento propagandistico, non può rivolgersi agli antinuclearisti, che difficilmente cambierebbero opinione attraverso le umiliazioni e lo svilimento della loro capacità di raziocinio. È difficile però anche pensarlo rivolto a dei sostenitori informati del nucleare: essi, infatti, sono sicuramente già a conoscenza dei dati riportati e si renderebbero subito conto delle mistificazioni presenti.

Il target potrebbe quindi essere quello delle persone senza un’opinione netta e poco informate, gli unici potenzialmente influenzabili da una narrazione enfatica e apertamente schierata come quella offerta da Stone. È allora necessario chiedersi quanto un’operazione di questo tipo sia etica. Non è mia intenzione prendere in questo luogo una posizione sul nucleare, ma in un momento di crisi ambientale, in cui le nostre scelte assumono un’importanza capitale, dare alle persone prodotti come Nuclear su un argomento così delicato e su cui la disinformazione è forte, sia nelle narrazioni a favore, che in quelle contrarie, è pericoloso.

Sarebbe, invece, necessaria un’alfabetizzazione sul tema fatta da esperti in grado di esporre in maniera corretta e neutrale dati e informazioni per poter poi cooperare alla costruzione di un futuro migliore. In conclusione, è giusto essere d’accordo con Stone sul fatto che i documentari, soprattutto su certi argomenti, dovrebbero essere neutrali e non oggetto di propaganda, ma questo dovrebbe valere anche per i suoi.