
SELCI
Jarman, il giardino e The Garden
di Luca Mantovani
Un pomeriggio di primavera, nel 1986, Derek Jarman gira il Kent in macchina alla ricerca di un prato di giacinti fioriti da riprendere. Con lui ci sono Keith Collins, il suo sostegno negli anni della malattia, e Tilda Swinton, l’attrice che si è legata a lui con la realizzazione di Caravaggio e che lo seguirà in altri otto film, fino alla sua prematura scomparsa.
I giacinti si rivelano però difficili da trovare e i tre riparano invece al Pilot Inn di Dungeness, famoso per il miglior fish and chips d’Inghilterra, su proposta dello stesso Jarman, che conosce la zona per averci girato alcune inquadrature di The Last of England. Questa zona costiera lo affascina, con il suo promontorio dalla forma singolare, che penetra come un cuneo nelle acque della Manica, con la lunga spiaggia di ciottoli, la qualità unica della luce e il profilo della centrale nucleare che emerge dall’orizzonte come il relitto di una misteriosa civiltà aliena.
Nelle sue precedenti ricognizioni, Jarman ha preso confidenza con il luogo e i suoi abitanti, con l’impossibile urbanistica fatta di sparute abitazioni, mai più alte di due piani, disperse fra le vaste distese sassose del promontorio. Fra le altre, un piccolo cottage di pescatori a pochi metri dal mare ha attirato la sua attenzione: con le assi tinte di catrame nero-violaceo e gli infissi giallo canarino, si erge con singolare ostinazione contro gli assalti del vento carico di salsedine.
«Se fosse in vendita, quasi quasi lo comprerei», confida agli amici, ed è proprio Tilda Swinton, nel racconto che fa Jarman, ad accorgersi per prima, mentre passano davanti al cottage, del cartello “Vendesi” affisso a una delle finestre: «una tale improbabilità rese l’acquisto inevitabile».
Quando il regista entra in possesso di Prospect Cottage – questo il nome dell’edificio, costruito nel 1900 – ha appena ricevuto la notizia della sua condanna. I segni della sieropositività all’HIV, che troppo presto lo spegnerà nel 1994, cominciano a manifestarsi e a debilitarlo. Jarman sceglie allora Prospect Cottage come sua principale dimora, in cui, fatto salvo le incursioni londinesi e i soggiorni in clinica, spenderà la maggior parte degli anni che gli restano.

Quello che sorprende, in questo ritiro, è che non si tratta della fuga di un uomo malato che prepara il suo congedo dal mondo – al contrario, Jarman saprà trasformare il tempo trascorso nel Dungeness nella sua ultima opera, non meno straordinaria, libera e duratura di quella impressa su pellicola. «Acquisii la piena proprietà e un po’ di terreno in più per 750 sterline, un prezzo che continuo a considerare un affare», scrive in un diario magnifico, per limpidezza e capacità di penetrazione, in cui descrive la nascita di un giardino senza eguali, che curerà personalmente fino all’ultimo, aiutato da pochi intimi amici. È quella porzione di terra e sassi in più che, per concatenazioni sempre casuali (o piuttosto naturali), dà l’abbrivio all’opera: «il giardino nacque in modo del tutto casuale: un bastone levigato dal mare sormontato da un osso rotondo trovato sulla spiaggia servì da sostegno per una rosa canina trapiantata, e una selce di forma allungata scoperta dalla bassa marea fu messa a protezione di una piantina di cavolo marino perché qualche piede distratto non la calpestasse».
Coniugando le conoscenze di giardinaggio, che risalgono all’infanzia trascorsa anche in Italia sulle rive fiorite del Lago Maggiore, con l’occhio libero dell’artista, Jarman va via via trasformando il cottage e il terreno circostante in un «Getsemani» e in un «Eden»: la sua viva curiosità, ma anche i ritmi lenti imposti dalla malattia, fluiscono attraverso il lavoro delle mani in un disegno di aiuole circolari e sentieri zigzaganti, in cui il regista coltiva con trasporto commosso la flora locale, composta per lo più di arbusti e fiori modesti, da cui Jarman sa però trarre le più emozionanti riuscite estetiche. «All’inizio la gente credeva che facessi il giardino per fini magici. […] In effetti un po’ di magia c’era – la magia della sorpresa, la caccia al tesoro. Un giardino è una caccia al tesoro, le piante i bigliettini che ti guidano».

L’orizzontalità imposta a forza dal vento salso che spira con furia su quella terra, viene spezzata da Jarman con una miriade di invenzioni perpendicolari, ready-made improvvisati con materiali poveri restituiti dal mare o dal lavoro stesso: zappe e rastrelli ormai consunti, travi, bastoni stinti e puliti dalle onde, selci oblunghe, rottami da cui tempo e salsedine hanno cavato forme bizzarre e colorazioni ossidate che accendono fiamme rossastre nei cromatismi tenui del giardino.
Col trascorrere delle stagioni, la dedizione di Jarman al cottage e al terreno circostante assume sempre più i caratteri di una disciplina orientale: basta guardarlo avvolto in una vistosa djellaba, con le mani sporche di terra mentre pianta un elleboro, in una bellissima immagine scattata dall’amico Howard Sooley, le cui fotografie impreziosiscono il volume.
La serena energia che emana da questo parco di dolmen miniaturizzati, da questo autarchico giardino zen, ha saputo forse ispirare e dare forza a Jarman nel girare i capolavori finali della sua filmografia, fra cui, per spassionata spregiudicatezza, brilla quel The Garden che proprio a Dungeness, dentro a Prospect Cottage, fra le selci del giardino, è girato in un Super 8 che per libertà e poesia non sarà mai più eguagliato. In The Garden Jarman confonde biografia e Bibbia per continuare a raccontare e a raccontarsi, come ha sempre fatto e come continuerà a fare fino all’ultimo istante, fino allo straziante schermo monocromo di Blue.
E se l’uomo si accomiata in quel cielo cinematografico sconfinato, l’artista rimane e la sua opera cresce, come cresce l’amato cavolo marino a Prospect Cottage, arruffato dal vento. Perché, «se un giardino non è arruffato, meglio lasciarlo perdere».

Il giardino di Derek Jarman è stato pubblicato in italiano dall’editore nottetempo nel 2019: il diario di Jarman è arricchito dalla riproduzione di moltissime foto a colori e in bianco e nero scattate dall’amico Howard Sooley.
Potete trovare e consultare il volume anche presso la Biblioteca del Circolo del Cinema.