
Visioni dal lido
Il meglio della 79. Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica
di Francesco Lughezzani
The Eternal Daughter parte da un viaggio in auto, che attraversa la nebbia di una campagna inglese in apparenza sinistra. Sedute nell’auto una regista e la madre anziana, pronte a trascorrere qualche giorno di riposo in un albergo isolato, lontano dal proprio quotidiano.
Un giardino e un bosco circondano l’albergo e la dimensione vegetale diventa subito fondamentale: c’è una barriera che separa il mondo di fuori, del tempo e delle scadenze, dal mondo della memoria, del ricordo e del riposo che viene incarnato dalle pietre antiche dell’albergo. Gli alberi e le siepi costruiscono una barriera di vegetazione che suggerisce il palcoscenico ideale a una storia di brume notturne, di perdite e di fantasmi.
Tylda Swinton, una delle attrici a cui l’autrice è più legata, qui interpreta entrambi i ruoli delle protagoniste, madre e figlia, presente e passato che si incrociano continuamente tra le mura della residenza. La protagonista è una regista, ma tarda ad intraprendere un nuovo progetto e la madre dovrebbe diventare la protagonista del suo ultimo lavoro. Joanna Hogg costruisce una messa in scena che Mark Fisher definirebbe «eerie», perturbate e sospesa in un terreno fatto di trauma e memoria che costruisce un ritratto complesso di due donne, o forse una sola, legate a un luogo e a un tempo da un rapporto mai semplice, fatto di dolore e beatitudine. La nebbia che circonda l’albergo può essere una presenza sinistra, ma anche un nido accogliente e caloroso, da cui diventa difficile separarsi.

Saint Omer sceglie di raccontare un dramma impossibile da decifrare, il processo a una donna accusata di aver ucciso la figlia neonata di soli quindici mesi, attraverso una ricostruzione contemporanea, almeno in apparenza, del mito di Medea.
Il film infatti porta il nome del primo vate proprio nel titolo, e racconta di una scrittrice trentenne, al quarto mese di gravidanza, che sceglie di assistere e raccontare il processo a Laurence Coly, che come lei è stata una brillante studentessa universitaria e come lei ha un complesso rapporto con la figura materna. La protagonista rimane spettatrice silenziosa del processo che viene raccontato in modo asciutto e rigoroso, da una prospettiva stilistica oltre che narrativa. La chiave di lettura del film è infatti nella costruzione dell’inquadratura e del primo piano in particolare. C’è un momento di svolta nel film infatti, e si colloca durante un incrocio di sguardi tra Laurence e Rama, uno sguardo che comunica un’intesa profondo che sconvolge la protagonista e racchiude una domanda: perché? Quale motivo ha spinto la giovane donna ad abbondare tra le onde la figlia, cosa racconta di un’anima, di una famiglia e di una struttura sociale questo avvenimento. La maternità come base della famiglia, la legge come strumento di regolazione dei rapporti sociali, tutto inizia a sgretolarsi sotto una superficie che ormai di ordine e sensatezza non ha più nulla, ed è uno sguardo a innescare questo disfacimento. Un campo controcampo che diventa terreno d’incontro e turbamento.

Paul Schrader sta scrivendo lo stesso film dai tempi di Taxi Driver. Chi vi scrive non la ritiene una critica negativa quanto invece la capacità di un artista di non esaurire una suggestione potente del proprio universo narrativo, declinandola in decine, centinaia di storie diverse eppure uguali. Viene da chiedersi in tempi di multiversi Marvel e A24, che conquistano Oscar e pubblico, quanto invece si possa apprendere sulle possibilità narrative di universi paralleli e interscambiabili dall’opera di un autore che Paul Schrader, premiato quest’anno con il Leone d’Oro alla carriera, che torna in sala con Master Gardener. La sua ultima pellicola è la storia di una giovane apprendista giardiniera giunta nella villa della zia per imparare il mestiere, seguita da un maestro singolare, un uomo impescrutabile che conosce ogni dettaglio sulla coltivazione e la crescita delle specie vegetali e che si prende cura della giovane donna. Ma dal suo passato emergono presto segni indelebili e troppo dolorosi e profondi per essere accantonati.
E come di consueto nell’epica di Schrader è il sangue l’unica sostanza in grado di sciogliere i nodi di un intreccio narrativo che si svolge raggiungendo un climax di violenza proprio di un territorio selvaggio come la sua America, un luogo vero e immaginato, fatto di fughe, di motel e perferie del paesaggio e dell’anima. The Card Counter, First Reformed, Master Gardener. Un giocatore, un prete, un giardiniere. Quale sarà la prossima carta estratta da mazzo?
