Vivi, muori, ripeti
Tom Cruise in sacrificio per il cinema
di Marco Triolo
Nel settembre 2014, la troupe di Mission: Impossible – Rogue Nation si trasferisce alla base militare RAF Wittering, in Inghilterra, per girare lo stunt più pericoloso e complesso del film. Nella scena, l’agente Ethan Hunt tenta di fermare il decollo di un aereo aggrappandosi alla fiancata in un gesto estremo. Una scena che dieci anni prima sarebbe stata girata in studio, davanti a giganteschi schermi verdi (o blu, se preferite), con una macchina del vento e una carlinga finta, diventa l’ennesimo banco di prova per Tom Cruise, ormai avvezzo a sfidare la morte in maniera sempre più spettacolare e sprezzante. La troupe arriva sul posto e passa giorni interi a preparare la scena. Questo compito richiede due passaggi chiave: ripulire la pista dai detriti e far scappare permanentemente gli uccelli dal vicino prato. A quella velocità, qualunque cosa sfuggita al controllo, anche un sassolino, potrebbe trasformarsi in un proiettile letale per la zelante star. Figurarsi un uccello. Quando è tutto pronto, Cruise viene imbragato e ancorato all’aereo e dai dai dai: si gira. L’aereo decolla e atterra. E poi ridecolla e riatterra. E poi riridecolla e ririatterra. Per otto volte.
Questo, insieme alla “passeggiata” sulla facciata del Burj Khalifa di Dubai in Mission: Impossible – Protocollo fantasma, è senz’altro il più famoso stunt mai tentato da Tom Cruise nella sua lunga carriera di anteporre gli interessi del pubblico alla sua autoconservazione. È molto probabilmente anche il più pericoloso, anche se appendersi al grattacielo più alto del mondo, trattenere il fiato per sei minuti per girare una sequenza subacquea (sempre in Rogue Nation) o lanciarsi per tre volte da 7.600 metri di altezza (in Mission: Impossible – Fallout, che per qualche ragione viene ricordato più per i baffi di Henry Cavill) non è che siano cose che si fanno tutti i giorni in orario di lavoro. Il termine “in sicurezza” è stato inventato per tranquillizzare le compagnie di assicurazione, ma in realtà non significa niente. Qualunque cosa può andare storta in un salto da 7.600 metri, o appendendosi alla fiancata di un aeroplano. Anche chi fa skydiving di mestiere a volte ci resta secco. Eppure Tom Cruise continua, imperterrito, indefesso, impermeabile al rischio. Ormai sono queste imprese a definirne la carriera, e lui ci si getta con l’entusiasmo di chi ha un evidente desiderio di morte e di morire facendo ciò che ama. Masochista? Forse. Ma noi preferiamo definirlo “pioniere”. Pioniere di un movimento che, negli ultimi dieci anni, sin dal successo di film come The Raid, ha riportato gli stunt fisici al centro dell’agenda hollywoodiana. Non è più l’epoca dei vari Greengrass, con la loro macchina a mano traballante e il santino del montatore appeso al cruscotto, vero salvatore capace di trasformare ogni attore, anche il più fisicamente impedito, in Muhammad “Ti spacco il culo” Bruce Lee. Oggi, se vuoi picchiare qualcuno davanti a una macchina da presa, è meglio che tu lo sappia fare davvero, perché il tuo pugno partirà e atterrerà sugli zigomi del tuo avversario nella stessa inquadratura.
Certo, solitamente parliamo di stunt fisici di questo genere, sequenze di lotta sempre più raffinate e coinvolgenti (vedere l’esempio recente di Tyler Rake, su Netflix, o John Wick 3), non di un maledetto pazzo che sfida le leggi della fisica per farci sgranare gli occhi e sgranocchiare i pop-corn. Per questo Tom Cruise è un pioniere, perché faceva queste cose anche quando avrebbe potuto legittimamente sedersi, bere un energy drink e lasciar fare alla controfigura. Già in Mission: Impossible 2 si appendeva senza rete di sicurezza a una parete di roccia, con il povero John Woo che, dietro la macchina da presa, stava già pensando a come vendere la proprietà appena acquistata a Los Angeles (dopo aver speso un sacco di tempo a curare quel cacchio di giardino). Ma Tom Cruise è anche quel boomer che vede i giovani, più agili di lui e magari addestrati in qualche oscura arte marziale del Borneo centromeridionale, e urla “AH È COSÌ? SFIDA ACCETTATA” e firma per girare un film sulla Stazione Spaziale Internazionale (storia vera). In tutto questo ben di Dio (Xenu?) ci stiamo dimenticando di rispondere all’annosa domanda: cane o mito? È una domanda polarizzante adatta all’epoca polarizzata in cui viviamo. Facciamo così: togliamoci subito il pensiero e diciamo che cane decisamente non è. Non è nemmeno un attore così versatile, Tom.
Di certo recitare Shakespeare nel Parco non sarebbe la morte sua (quella avverrà su un prossimo set ah ah ah). Le volte in cui ha accettato ruoli in cui la recitazione veniva prima del carisma animale e del “chino il capo e alzo gli occhi aggrottando le sopracciglia” si contano sulle dita di una mano: Magnolia (dove sostanzialmente faceva se stesso a una raccolta fondi per Scientology), Collateral, Nato il quattro luglio, Eyes Wide Shut (dove però c’era un regista che ha quasi sempre spinto gli attori alla sottrazione). Sicuramente ce ne sono altri, ma non importa. Non importa perché il punto è che Tom Cruise è un STAR nel senso più puro e cinematografico del termine. Un individuo larger than life, con i suoi vezzi new age, i suoi bei momenti controversi (ve la ricordate la sfuriata sul set dell’ultimo Mission: Impossible? O il salto sul divano di Oprah?), l’etica del lavoro sovrumana e una vita privata obnubilata dalla sua incrollabile, ipnotica immagine pubblica. Toh, siamo quasi a 5.500 battute e non abbiamo praticamente parlato di Scientologynonimportanonc’èpiùtempociao. W Tom Cruise, W i matti.