Cinema in Circolo: Border

Il Circolo del Cinema, con il sostegno di Wanted Cinema, rinnova per tre ultimi appuntamenti la sala web della 73ª stagione 2019/2020!

In streaming esclusivo per i Soci, si parte con il sorprendente Border – Creature di confine (Svezia, Danimarca, 2018 – 104′), opera seconda del giovane regista Ali Abbasi, presentato al Festival di Cannes, dove è stato premiato come Miglior film nella sezione Un Certain Regard. Per lo straordinario lavoro di trucco, Border è stato candidato ai Premi Oscar e ha vinto agli EFA per i Migliori effetti speciali.

Tina, impiegata alla dogana, ha un olfatto e un aspetto davvero singolari. Infallibile nel fiutare i carichi illegali, così come il senso di colpa, la paura, la vergogna, Tina viene messa alla prova il giorno in cui incontra Vore. L’uomo, tanto simile a lei, finirà per coinvolgerla in una spirale di attrazione e repulsione, fino a un’inattesa rivelazione. Con Vore, infatti, Tina condivide una natura segreta. Tutta la sua esistenza non è stata che una menzogna e ora dovrà scegliere se continuare a vivere una bugia o accettare la sconvolgente verità…

Border è un film che affronta tematiche dure con immagini forti, capace però di aprirsi al fiabesco e all’emozione in maniera originale e incisiva.

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Border sarà disponibile in streaming dal 18 al 21 giugno 2020.

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Recensione

Tina lavora alla dogana di un porto della Svezia, svolgendo il suo incarico con una perizia straordinaria: la aiuta un “fiuto” particolare che le permette di captare la presenza non solo delle merci di contrabbando, ma persino delle cattive intenzioni delle persone. Una capacità del tutto fuori dalla norma, che per estensione fa apparire anormale anche la stessa Tina, donna dall’aspetto sgraziato e con più di qualche caratteristica somatica ferina.
Border di Ali Abbasi, tratto da un racconto breve dello scrittore John Ajvide Lindqvist, rende dunque fin da subito onore al proprio titolo parlandoci di confini, prima di tutto sociali ed etnici. Il film affronta di petto il concetto di anomalia e di alterità, raccontando quell’importante e mai obsoleto tema del diverso che già Lindqvist, lo “Stephen King svedese”, aveva posto in primo piano nel suo romanzo Lasciami entrare. In quell’opera si esaltava l’amicizia tra un bambino umano e un vampiro androgino (e dunque si negava la difficoltà di un incrocio tra mondi e nature diverse); diversamente in Border ci si interroga sul significato di umanità in un contesto dominato da turpitudini e xenofobia. Protagonista del film è un personaggio che sfugge apparentemente alla definizione di umano (e persino a univoche definizioni di genere), ma che di fatto si dimostrerà più degno del termine sotto un punto di vista morale. Un aspetto questo cruciale in un film che, mutatosi in thriller attraverso un intelligente rimescolamento di generi, arriva a illustrare crimini tra i più squallidi che si possano immaginare, quasi per sottolineare ancora una volta lo stesso concetto chiave che qui riecheggia tra le righe: bestialità e crudeltà sono proprietà delle azioni, non della natura. Le azioni disumane sono in realtà prerogativa degli umani e hanno un proprio odore, che Tina, che si trova a vivere nel confine tra due nature (una imposta dall’educazione dei genitori e dalla società, l’altra genetica), percepisce.
Cruciale ai fini dell’accettazione della propria natura è l’incontro con Vore. L’aspetto di uomo di Neanderthal e il fatto che il suo bagaglio contenga una colonia di larve lo colloca immediatamente nella sfera d’interesse di Tina, posta per la prima volta davanti a quello che sembra un suo simile. La novità mette il suo olfatto in crisi e una certa affinità nasce tra i due. Lei spiega di essere deforme e vittima di una anomalia cromosomica, ma Vore ha un’idea chiara della propria identità, a differenza di Tina che ignora le sue radici.
Abbasi dunque, attingendo liberamente al folklore scandinavo nel rispetto del racconto di Lindqvist, mette in scena una storia d’amore bizzarra, girando un film che resta bilanciato tra il genere fantasy e il noir nordico più crudo, dato che una squallida vicenda di pedofilia costituisce il fulcro della trama. La componente fantastica è d’altra parte occasione per far emergere con ancora più immediatezza il problema del rapporto con il diverso, attraverso una soluzione che sul grande schermo si rivela particolarmente ambiziosa: il reparto del trucco, responsabile di dover trasformare in modo grottesco gli attori Eva Melander e Eero Milonoff, ha in effetti ricevuto una nomination dall’Academy per l’eccellente lavoro svolto in Border.
Prima vetrina del film è stato il festival di Cannes, in cui il film ha vinto il premio Un Certain Regard; altri riconoscimenti importanti sono arrivati in patria, dove Border è stato premiato come Miglior film ai Guldbagge Awards. L’attenzione rivolta a un lavoro dalla natura così bizzarra, difficilmente annoverabile all’interno di filoni o generi, evidentemente pone l’accento sul tema della paura del diverso tanto caro al regista, autore danese di origini iraniane pienamente cosciente del problema dell’integrazione nella società odierna, scandinava e non solo. Il dilagare di sentimenti xenofobi è un campanello d’allarme che il cinema d’autore, anche in forme audaci come quella scelta da Abbasi, può e deve tramutare in immagini forti, selvagge come quelle presenti in questo film.

Michele Bellantuono

Note di regia

Parlare di genere è molto complicato. Come cataloghiamo, per esempio, le opere di Wagner? Non contengono mai un singolo elemento espressivo, ma sono il risultato della combinazione di una moltitudine di elementi in un modo unico e originale.
Non ho mai parlato di Border – Creature di confine in termini di “mescolanza di generi”, anche se buona parte del mio lavoro è mescolare e bilanciare elementi eterogenei per ricavarne un insieme coerente. Piuttosto che mettere un’etichetta al mio lavoro preferisco dire che si tratta di un vero film europeo; una versione americana o giapponese sarebbe stata totalmente diversa.
Provengo dalla letteratura e il mio cervello ragiona ancora come quello di uno scrittore. Ho imparato a raccontare storie prima di interessarmi al cinema. Da giovane pensavo persino che guardare un film fosse un passatempo per persone che non avevano niente di meglio da fare! Solo più tardi ho cambiato prospettiva: il mio interesse è sempre stato quello di osservare la società attraverso un universo parallelo e penso che il cinema sia il mezzo perfetto per farlo. Piuttosto che mettere in scena i miei drammi personali, preferisco percepire i pensieri e le esperienze attraverso un altro corpo e un altro mondo rispetto al mio. Mi interessa tutto quello che va oltre la superficie e che è in grado di influenzare in modi alternativi le persone.
Amo Luis Buñuel e Chantal Ackerman, tanto che il mio primo cortometraggio è stato un omaggio a lei. Mi piace il modo in cui porta la banalità della vita a livello assurdo e surreale. Trovo che Fellini, uno dei maestri che ammiro di più, sia il Wagner del cinema per la sua capacità di lavorare con generi differenti dando vita ad un insieme perfetto.
Il cinema di genere è in grado di intrattenere e mi piace l’idea che le persone si rilassino e “abbassino la guardia” guardando un film. In questo modo il cinema diventa anche un ottimo strumento per parlare indirettamente di politica, ma in modo decisamente più sottile e sotto traccia. È proprio quello che ho tentato di fare con Shelley e poi ancora con Border – Creature di confine.
Per me il film non parla della contrapposizione “Noi / Loro”, ma di una persona che può e deve appropriarsi della sua vera identità. Voglio credere che tutti siamo in grado di scegliere chi essere. Nonostante non sia interessato a discutere di questioni razziali, sin dalla mia infanzia so cosa si prova ad essere una minoranza. Per me non significa avere un colore diverso della pelle, ma essere una persona diversa. Io sono una minoranza in Iran tanto quanto a Copenhagen. Ancora oggi ci sono elementi che mi derivano dalla cultura iraniana. Noi siamo più interessati a ciò che non vediamo. Siamo ossessionati dal pensiero della morte e della vita ultraterrena. Percepiamo continuamente significati nascosti. Può sembrare paranoico, ma è anche poetico. Sono cresciuto in questo modo, percependo ciò che gli altri non vedono. E paradossalmente, i film possono essere il mezzo migliore per mostrare l’invisibile.
Su di me hanno inoltre certamente avuto influenza la ricca tradizione poetica iraniana e il realismo magico latinoamericano di autori come Gabriel Garcia Marques, Carlos Fuentes e Roberto Bolaño.
I film sono specchi in grado di riflettere la condizione della vita umana. Vedo gli esseri umani come degli animali particolarmente evoluti e mi interessano tutte quelle situazioni in cui i nostri istinti bestiali cozzano contro la struttura della società. A me interessano le loro risposte, non la situazione estrema. Credo che la complessità di questa condizione sia la sua bellezza, non la sua tristezza.
Il primo contatto con le storie di John Ajvide Lindqvist è avvenuto attraverso il film Lasciami entrare, mentre ho letto il libro solo in un secondo momento. Il film è stato una vera scoperta perché ha dato vita al realismo Scandinavo, che ha rappresentato una ventata di aria fresca per il cinema svedese. Ammetto che non mi sarei mai aspettato che un genere come questo venisse alla luce in Svezia ed è per questa ragione che l’universo di John è stata una grande scoperta.
Una cosa che amo della sua scrittura è che si mette allo stesso livello dei suoi lettori. Non c’è bisogno di essere un letterato per apprezzarla, ma allo stesso tempo non si tratta di semplice narrativa popolare. John è in grado di costruire un ponte tra realtà e fantasia e un continuo rimando tra queste due dimensioni, facendo allo stesso tempo emergere alcuni aspetti della società contemporanea.
Sono andato più a fondo nella sua scrittura e questo mi ha condotto a Border. Intravedevo del potenziale, ma allo stesso tempo mi rendevo conto della difficoltà di farne un film perché quasi tutta la storia ha luogo nella testa di Tina. Così, per l’adattamento di Border, mi sono ispirato a Lasciami entrare dal momento che i protagonisti di entrambi i film hanno qualcosa di complesso e ancestrale che li accomuna. Border aveva tutti gli ingredienti per rendere la storia interessante, ma volevamo che ci fosse più di un semplice retroscena dark. Per questo, quando ho iniziato a lavorare alla sceneggiatura insieme a John e a Isabella Eklof, abbiamo deciso di apportare dei cambiamenti. Ad esempio, alla storia originale è stata aggiunta la parte investigativa, che rappresenta un sub-plot completamente nuovo.

Ali Abbasi