And Then We Danced

Il cinema sulla danza fa genere a sé. Tralasciando il musical, che nella performance di ballo – la coreografia – trova uno dei cardini del proprio lessico filmico, si potrebbe stilare un elenco davvero ricco di pellicole che hanno messo la narrazione del rapporto individuo/gruppo/danza al proprio centro. Dai classici come Scarpette rosse, fino a fortunatissimi titoli quali Dirty Dancing, Flashdance, Billy Elliot o il recente franchise di Step Up, passando per incursioni d’autore come The Company, Il cigno nero o Girl: il mondo della danza, con le sue codificazioni stringenti e l’attitudine a saggiare i limiti individuali dell’espressione corporea, è un contesto ideale in cui immergere il racconto di personalità in conflitto (con sé e con l’altro) e in cerca di affermazione, di un posto nel mondo.

Anche il terzo lungometraggio del giovane regista Levan Akin, sceglie il contesto della danza per inscenare un paradigmatico e coinvolgente romanzo di formazione, sostenuto dalla speciale urgenza di ritrarre per vigorose pennellate un ambito geografico e sociale ben specifico. And Then We Danced, infatti, si ambienta a Tbilisi, in uno sfumato tempo presente, fra le fila dell’ensemble nazionale di danza georgiana dove milita il giovane Mehrab (interpretato dall’esordiente e perfetto Levan Gelbakhiani, scovato dal regista su Instagram). La danza, in Georgia, è faccenda seria: sin dall’infanzia, il popolo georgiano viene iniziato alla severa disciplina delle danze tradizionali, patrimonio immateriale e parte integrante dell’identità nazionale, al pari della musica e dei siti storici. «Devi essere come un monumento», intima sin da subito l’insegnante al dotato ma indisciplinato Mehrab, che vive con frustrazione i rigidi limiti del canone. L’arrivo nella compagnia del talentoso testa calda Irakli, sveglierà Mehrab da un protratto torpore, gettandolo in una crisi globale che si espanderà in cerchi concentrici a interrogare il rapporto del giovane con la danza, la propria sessualità, la fidanzata e la famiglia.

Akin è attento nel misurare, già in sceneggiatura, la gamma mutevole di sentimenti che muove i due ragazzi l’uno verso l’altro e, parallelamente, sui rispettivi percorsi di crescita – passando dalla rivalità, all’amicizia fino al traboccare del sentimento amoroso con incantata naturalezza. Il campo su cui si consuma questa formazione sentimentale è il corpo asciutto e nervoso di Mehrab, identificato nella sua alterità già dalla chioma fulva e prestato dal giovane interprete con una prodigalità che ne mobilita ogni singola fibra. Il regista lo scruta a distanza ravvicinata, con una sensibile macchina a mano che ne replica l’irruenza e un montaggio frammentato che amplifica la sensazione d’urgenza che muove Mehrab. Il suo corpo misura il mondo, ci lotta, lo invade, immerso sovente in una crepuscolare luce dorata (una scena chiave si svolge sulle note del brano Honey di Robyn – solo un caso?) che saprà accendersi, dopo aver attraversato la notte, nel bagliore del giorno pieno, coincidente con l’ultima performance di danza. Le frequenti sequenze di ballo sono sostanziali alla storia, punteggiano la narrazione evolvendo insieme a essa, trovando di volta in volta significati nuovi da comunicare: inerzia, competizione, seduzione, fino all’affermazione più pura e incontrovertibile di sé. Nel contesto ultra-conservatore della Georgia e della sua danza tradizionale (dove «non c’è sesso», come tuona il maestro), la storia d’amore fra due ragazzi è la carica deflagrante che può annientare o, invece, lanciare oltre la linea di un orizzonte asfittico.

Luca Mantovani

NUOVI ORARI
Cinema Kappadue

15.30 - 18.00 - 20.30

Proiezione

27 maggio 2021

Regia

Levan Akin

Durata

1h46min

Origine

Svezia, Francia, Georgia 2019