Allegro non troppo, terzo lungometraggio di Bruno Bozzetto, inizia annunciandosi come «Un film dove potrete […] vedere la musica e ascoltare i disegni, in una parola un film pieno di Fantasia». L’allusione a Walt Disney e al suo “concerto filmato” del 1940 è evidente e autoironica. Forse, però, è il pubblico in sala a venire qui bonariamente sbeffeggiato, perché Allegro non troppo non è un rifacimento di Fantasia. L’idea di illustrare con disegni animati celebri brani della musica colta europea è l’unico concetto che lega le due opere: tutto ciò che ne consegue è diverso.
Allegro non troppo racconta sei storie. Anzi, sette, otto, forse di più, o forse una sola: perché le scene dal vivo intercalate ai cortometraggi animati costituiscono un’unica vicenda, quella dell’amore fra un animatore e una giovane addetta alle pulizie, tra le angherie subite da un corpulento direttore d’orchestra alla guida di un ensemble di vecchiette dotate di strumenti finti. Diversi personaggi animati (tra cui il Signor Rossi, in un cameo) finiscono per interagire con le persone in carne ed ossa, finché gli stessi animatore e ragazza non si tramutano in disegni e fuggono liberi. In Fantasia, invece, di storia a tutti gli effetti ve ne è una sola: L’apprendista stregone. Il resto del film è una questione di coreografie e incanti visivi, mentre un’orchestra di silhouette suona guidata da Leopold Stokowski, tra didattici interventi del critico e compositore Deems Taylor, quasi sempre inquadrato, significativamente, dal basso. La musica classica viene allora porta allo spettatore di Fantasia in veste “autorevole”: si replicano, stilizzati i rituali tipici della sala da concerto. Mickey Mouse si fa notare da Stokowski a fatica; questi infine gli tende la mano, chino, ma sempre alto sul suo podio. L’animazione, insomma, pare essere al servizio della musica; eppure, ciò che avviene è esattamente il contrario. Non c’è infatti un solo brano, tra quelli selezionati per Fantasia, che venga presentato in forma autentica: tutti sono ritoccati, e in modo niente affatto marginale, per fornire spunti più efficaci all’animazione.
Allegro non troppo non ha bisogno di alterare la musica su cui si basa. Dell’autorevolezza simulata fa a meno, mantenendo intatta quella autentica: per le pagine di Claude Debussy, Antonin Dvorak, Maurice Ravel e Jean Sibelius sono state selezionate esecuzioni di Herbert Von Karajan con i Berliner Philharmoniker; per Antonio Vivaldi ci si è affidati a Hans Stadlmair e alla Münchener Kammerorchester, mentre quanto proposto di Stravinsky viene da un’incisione di Lorin Maazel con la Radio-Symphonie-Orchester di Berlino. Di tutti questi musicisti nel film non si fa cenno, poiché l’obiettivo non era esibire autorevolezza e maestria nell’animazione (che pure in Allegro non troppo esiste), ma narrare con gusto e ingegno. Per ogni brano della selezione, infatti, si scovò una storia appropriata, con inizio, svolgimento e conclusione; e ognuna di queste articolazioni fu declinata sui ritmi e le atmosfere della musica, senza tralasciare o aggiungere nemmeno una nota. A un compositore, tale impegno intricato e rispettoso non potrebbe che ricordare certi procedimenti raffinati, come le variazioni su basso ostinato, in cui la musica si rinnova di continuo pur costruendosi su una successione fissa di suoni. Il principio di variazione è uno dei cardini della composizione occidentale: sarà forse per questo che Allegro non troppo è un film così profondamente musicale?
Marco Bellano
Evento di Terza Missione organizzato in collaborazione con il Dipartimento dei Beni Culturali, Università degli Studi di Padova