Sam ha 17 anni, è un’adolescente queer e la sua giovinezza non ha attraversato grandi conflitti con i suoi genitori, almeno all’apparenza: sta per andare al college, ama le escursioni nella natura con il padre, viene definita “good one”, una ragazza in gamba di cui vantarsi con gli amici.
L’esordio al cinema di India Donaldson è un film indipendente, nato da alcune esperienze molto personali, che racconta di tre giorni e di un’escursione sui Monti Catskills, nello stato di New York. La protagonista insieme al padre, a sua volta accompagnato da un amico d’infanzia, viaggia a piedi in un panorama selvaggio in quello che ha tutta l’aria di essere l’ultimo viaggio prima della fine dell’adolescenza e dell’inizio dell’età adulta. Che porta con sé consapevolezze nuove e nuovi dolori.
Se c’è una costante nel racconto della giovinezza e del genere coming of age che spesso trova spazio nel panorama indipendente americano è quella di descrivere una rottura, con il contesto familiare, con il mondo e con la propria infanzia: come raccontare invece un’adolescenza che ha addomesticato il conflitto, che non ha ancora intrapreso una svolta radicale, ma sarà presto obbligata a farlo?
Donaldson ragiona per sfumature nel ritrarre Sam, che per tutto il viaggio rimane lo specchio degli adulti che la accompagnano e si raccontano, parlando incessantemente del proprio passato e della loro giovinezza senza interessarsi troppo a quello che pensa lei, a quello che desidera. L’interpretazione di Lily Collias – al suo esordio come protagonista di un lungometraggio – riflette efficacemente i tratti di un personaggio che in effetti per la maggior parte del tempo non parla, a cui non vengono concesse troppe battute e lavora dunque con lo sguardo e il corpo per comunicare il proprio stato d’animo.
Quando viene superato un limite e la giovane viene proiettata all’improvviso nel mondo degli adulti nessuno la ascolta, nemmeno il padre, ed è proprio in quel momento che il silenzio della sua giovinezza, l’ascolto che ha sempre praticato muta in qualcos’altro, si spezza e la rottura definitiva che ci aspetteremmo diventa nella scrittura di Donaldson una deviazione dal percorso, essenziale nella messa in scena eppure efficace nel raccontarci che qualcosa è cambiato per sempre. Sam può liberarsi dal peso di essere stata sempre una “good one”, una figlia che non da pensieri e che di cui in fondo ci si può dimenticare, per guardare il mondo con nuovi occhi, con la consapevolezza dolorosa eppure inebriante di essere sola, alle soglie dell’età adulta, sola nel bosco, e alla ricerca di un nuovo sé, che nessuno ha finora riconosciuto ma che nella solitudine della montagna inizia a respirare.
Francesco Lughezzani
