Cinema in Circolo: The Rider – Il sogno di un cowboy

Cinema in Circolo: The Rider - Il sogno di un cowboy

Primo appuntamento della stagione per la Sala Web del Circolo del Cinema.

Il film di questa settimana, disponibile da venerdì 9 a giovedì 15 ottobre è The Rider – Il sogno di un cowboy, diretto da Chloé Zhao, regista americana premiata all’ultima edizione della Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia per il film Nomadland.

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Il film è disponibile in streaming fino alle ore 12.30 di giovedì 15 ottobre 2020.

Brady è caduto da cavallo. Un cavallo imbizzarrito durante un rodeo. Brady è un cowboy, l’unica vita che conosce è in sella, lo sguardo all’orizzonte, la prateria davanti a sé, così vasta da non avere confine. Nell’incipit del film lo vediamo alzarsi all’alba, sfilarsi la benda che copre una lunga cicatrice lungo il cranio, mentre con un coltello da caccia sembra sondare la ferita, cercando di capire quanto cambierà il suo presente, ora che ha una placca di metallo a tenere insieme i pezzi del cranio calpestato. La sua abilità nell’addestrare i cavalli più aggressivi e indisciplinati sembra tracciata nel sangue, appartiene alle sue stesse viscere, non può rinunciarvi con facilità.

 

La recensione

Chloé Zhao, regista cinese trapiantata negli Usa, dopo l’esordio al lungometraggio con Songs My Brothers Taught Me (2015), in cui seguiva il dramma di una famiglia nativa nella riserva di Pine Ridge in South Dakota, sceglie di raccontare la quotidianità di un mondo fin troppo stilizzato dalla prassi cinematografica: i cowboy, la frontiera americana, la libertà di una vita che accetta i pericoli e cavalca la morte ogni giorno, senza curarsi delle ferite del corpo e dell’anima. Se il canto del cigno del genere western l’hanno eseguito con cadenza regolare alcuni fra i più grandi cineasti americani degli ultimi decenni – Peckinpah, Pollack, Penn, Eastwood, Tarantino, i fratelli CoenChloé Zhao rinnova il potenziale narrativo di questo tipo di ambientazioni e personaggi mescolando fiction e documentario: gli attori interpretano sé stessi, mettono in scena la loro storia, i legami che li uniscono nel film sono lo specchio di quelli che hanno stretto nella realtà. Brady – vero nome dell’attore esordiente – siede a tavola con il padre e la sorella (i parenti dell’interprete nella vita reale) che soffre della sindrome di Asperger ed è molto legata al giovane cowboy, lo ricopre di affetto e attenzioni mentre il giovane cerca di comprendere quale ruolo potrà occupare questo nuovo sé, questo corpo che non risponde più agli stimoli del cervello come prima, queste mani che si serrano e non mollano più la presa.

Cerca di costruirsi una vita lontano dal suo mondo, lontano dalle stalle e dai finimenti, ma non resiste a lungo. Fin dalle prime inquadrature lo vediamo osservare gli stivali, le briglie, i pantaloni che indossava nei rodei, chiusi in un sacco: la mdp segue il suo volto dai tratti ancora infantili, quelli di un ragazzo che non vuole abbandonare uno stile di vita e un passato che appartengono alla mitologia del suo paese, che rappresentano il cuore di un immaginario remoto e contemporaneo insieme.
Il mondo di The Rider può apparire anacronistico, spesso troppo romantico e mitizzato – come nei racconti che si fanno attorno ad un falò – ma la regista si appella al fertile incrocio tra reale e messa in scena per ricordarci che ciò che stiamo guardando è ancora oggi reale, più che mai, nell’America più profonda, lontana dagli schermi. L’America che facciamo più fatica a comprendere, ma che ci affascina profondamente. Ogni giorno i giovani interpreti rischiano la vita ai rodei e se finisce male finiscono completamente paralizzati, costretti a ricordare il proprio passato come ombre sul dorso di un mustang, come all’amico di Brady, Lane Scott. Il passo di Brady non riesce più a seguire i suoi sogni e invano implora i suoi cavalli di ritrovare la strada di casa. Se la via del cowboy è solo un lontano ricordo, quanto strada potrà percorrere ormai appiedato, in quelle vaste pianure?

Francesco Lughezzani