Beginning

Beginning, ovvero inizio. Il primo lungometraggio della regista georgiana Dea Kulumbegashvili lascia immediatamente una enigmatica chiave di lettura agli spettatori, che sono coinvolti in una visione in cui si mettono in scena parallelamente il dramma umano di una donna e il tormentato destino collettivo di una comunità religiosa di emarginati. Il fil rouge che collega la sofferenza individuale con quella comunitaria sembra in realtà fragile e indefinito. La donna, Yana, è quasi una sorta di personaggio secondario all’interno della vicenda principale, che prende il via pochi minuti dopo l’inizio del film, con una scena dal forte impatto emotivo e visivo. Un atto di terrorismo anonimo, violentemente rivolto a una piccola comunità di Testimoni di Geova il cui leader spirituale è il marito di Yana, uomo di fede per cui la donna ha sacrificato prospettive e ambizioni attoriali. In qualche modo Yana si trova comunque, per una crudele ironia del destino, a dover recitare un “ruolo”. A partire dalla famiglia, ambiente in cui deve seguire il credo dei Testimoni (con diligenza, ma non genuina convinzione). Ma anche, su scala più ampia, in una società la cui matrice patriarcale costituisce una componente tossica e pericolosa.

Emarginazione, intolleranza e ignoranza conducono dunque a una formula ben nota, che si spinge inesorabilmente in direzione della violenza. Il film della Kulumbegashvili è in questo senso un pregiato lavoro cinematografico, che combina sapientemente soluzioni fotografiche, di messa in scena e regia per dare forma alla storia di una crisi esistenziale di una donna oppressa e violata. Il direttore della fotografia Arseni Khachaturan, già collaboratore della regista, ha girato per lo più lunghi piani-sequenza, lasciando la camera fissa, spesso in posizioni che lasciano poco margine di indagine all’interno dell’inquadratura, ma che piuttosto stimolano a interrogarsi sull’azione fuori campo. Ed è quindi proprio ciò che non si mostra a diventare il protagonista dell’immagine, secondo un impianto di suspense che in Beginning è realizzato con una perfezione tecnica tale da riuscire a stimolare quasi sentimenti di orrore.

Siamo di fronte a un tipo di cinema che delega allo sguardo lo sforzo di spingersi non solo all’interno di una storia, di una trama, ma all’interno di un’immagine, che proprio perché scarsamente dinamica offre maggiore margine di suggestione. «Per me, è questo il cinema: è essenziale, è luce, è la macchina da presa, è umano, è naturale. Non ho bisogno che accada nulla in termini di azione». Per questa regista, il cui stile ricorda quello di autori quali Michael Haneke, Chantal Akerman, Carlos Reygadas (quest’ultimo tra i produttori esecutivi del film), un’immagine richiede un processo contemplativo e una propria essenza autentica, che si ottiene con più facilità tanto più essenziali sono i mezzi tecnici utilizzati. Da qui sembra derivare la scelta di girare in pellicola, così come la quasi totale rinuncia all’uso di luci artificiali, effetti speciali e colonna sonora (appena percettibile il lavoro del compositore Nicolas Jaar). Il film è così calato in una luce soffusa, in un ambiente che diventa quasi soffocante, in cui però ogni fonte di luce risulta calda, viva, scolpendo i volti dei personaggi. Alla fonte della violenza si arriva lentamente, essa emerge dalle tenebre, entra ed esce dal quadro senza chiamare a sé l’obiettivo della camera, che resta distante, catturandone comunque tutta la terribile essenza.

Michele Bellantuono

Cinema Kappadue

16.30 - 19.00 - 21.30

Proiezione

2 marzo 2023

Regia

Dea Kulumbegashvili

Durata

2h10min

Origine

Georgia, Francia, 2020