Quella di Falcon Lake, film d’esordio dell’attrice canadese Charlotte De Bon tratto da una graphic novel di Bastian Vivés, rientra nelle premesse classiche del coming of age, genere incentrato sul racconto del complicato passaggio dall’adolescenza all’età adulta. Un canovaccio narrativo assolutamente inflazionato e dallo svolgimento prevedibile. Falcon Lake tuttavia ne esplora una deriva insolita, calandone la trama in una dimensione che a tratti appare sospesa tra sogno e realtà. Il lago stesso attorno al quale è ambientata la storia dei due protagonisti, il tredicenne Bastien e la sedicenne Chloé, non è una semplice location naturalistica (sembrerebbe davvero l’ennesimo scenario lacustre ed estivo che accoglie adolescenti alla scoperta della propria maturità), quanto piuttosto una sorta di entità, un luogo simbolico, vivo, quasi il riflesso fisico di uno stato dell’interiorità. Il direttore della fotografia Kristof Brandl ne coglie perfettamente l’essenza di ambiente/entità, catturandone i momenti di staticità e di segreta “attività”, con una serie di inquadrature fisse inserite in punti chiave della narrazione.
Il lago è appunto lo sfondo di una improbabile relazione in divenire, quella tra Bastien e Chloé, le cui famiglie amiche organizzano una vacanza in una baita sulle sponde di un lago del Québec. L’atmosfera è estiva, distesa, serena, Bastien sembra inizialmente preso dalla quotidianità delle attività vacanziere in riva al lago. Ma presto il suo sguardo viene catturato dalla figura di Chloé, ragazza che fin dai primi momenti mostra un particolare interesse nei confronti di Bastien, nonostante la differenza di età sia, in piena fase adolescenziale, vista da tutti come importante. La maturazione di questa intesa tra i due giovani è l’elemento “di genere” attorno al quale si svolge la storia e in questo senso ne è la componente più scontata. Ma Falcon Lake è un racconto sì intimo e familiare, ma al contempo intriso di mistero, di simboli ed elementi che sembrano presagire a un qualcosa di macabro (come il cadavere di cerbiatto trovato per strada da Bastien), un po’ alla maniera di Stand by Me (la trama e le atmosfere di Falcon Lake sono facilmente paragonabili allo stile di Stephen King).
Il lago appare come l’anima di questo mistero. È sulle sue sponde che avviene il primo cruciale incontro tra i due giovani e nelle sue acque mortifere ha perso la vita un ragazzo, indefinito episodio di cronaca che ha dato origine a una storia di fantasmi, tema ricorrente nei discorsi del gruppo di vacanzieri. I drammi e i primi amori dell’adolescenza avvengono così sullo sfondo di un paesaggio a tratti inquietante, a tratti bucolico, a metà tra un Eden segreto e un luogo di collegamento tra il mondo dei vivi e quello dei morti.
L’affinità tra Bastien e Chloé non da luogo alla solita giostra di sentimenti adolescenziali, bensì costruisce un legame che, nella rappresentazione di questa regista, ha un sapore proibito, quasi mistico. Una chimica che dà accesso a un mondo ulteriore, popolato da fantasmi che sembrano incarnare il concetto chiave della sessualità. C’è qualcosa nel lago che è in grado di toccare, di invadere uno spazio dell’intimità, di evocare costantemente un senso di trauma, che ricorre di continuo nelle scene ambientate nella sua prossimità. L’acqua è di per sé un elemento che può essere associato alla vita e alla fertilità. Così come alla morte.
Michele Bellantuono