Dalla penna di uno sceneggiatore ed ex-crittografo delle forze speciali britanniche durante la Seconda Guerra Mondiale, Leo Marks, è nato lo script di un film oggi considerato di culto, nonché uno dei primi esempi di slasher film, assieme al coevo Psycho. Il regista è Michael Powell e il film si intitola in originale Peeping Tom, termine che nella lingua inglese indica in modo proverbiale il “guardone”.
Il film in realtà ha anche molto altro in comune con il capolavoro horror di Hitchcock, oltre all’anno di produzione (1960). Peeping Tom è stato a lungo adombrato dal successo di Psycho, ma è anch’esso un raffinato e precoce esempio di horror psicologico, in cui il decorso psicopatologico del protagonista è un elemento chiave della narrazione, ricca di complessi risvolti psicanalitici che vanno a plasmare uno dei serial killer più studiati della storia del cinema. L’operatore di macchina da presa Mark Lewis, protagonista del film, in particolare soffre di scoptofilia, ovvero voyeurismo patologico, che lo porta a filmare con la sua piccola cinepresa 16mm omicidi di donne compiuti a sangue freddo da lui stesso, per poi raccoglierli come macabro materiale d’archivio e rivederli. All’origine dell’indole assassina di Mark, proprio come in Norman Bates, c’è la traccia di un rapporto tossico con una figura genitoriale, il padre in questo caso, da cui ha ereditato la segreta tendenza voyeuristica, che lui sfogava nei confronti del figlio già durante la sua infanzia, filmandolo di continuo e terrorizzandolo nel mentre.
Peeping Tom uscì in un clima di scandalo e fu ostracizzato a lungo, ma oggi è ricordato come un capolavoro del cinema di tensione, che ha coronato definitivamente Michael Powell come uno dei registi chiave della sua epoca e un punto di riferimento per molti cineasti a venire, tra cui alcuni nomi della Nuova Hollywood (tra cui ricordiamo ad esempio Scorsese e De Palma, che devono molto a questo film in particolare). L’intuizione di Powell nel realizzare questo film, con il contribuito fondamentale di Leo Marks, è purtroppo stata anche l’inizio della sua caduta: nel ’60 già di per sé il sesso era ancora un tabù al cinema, dunque certamente lo era anche tutta la sfera delle parafilie e dei traumi dell’inconscio che possono condurre ad esse. Peeping Tom non è stato solo, al pari di Psycho, uno degli esempi formalmente più importanti del cinema di genere, ma ha anche dato un cruciale contributo allo studio delle prospettive meta-cinematografiche della visione, inserendosi in un discorso che già interessava i più grandi teorici della settima arte, come Dziga Vertov, autore de L’uomo con la macchina da presa. Anche Mark Lewis è appunto un “uomo con macchina da presa”, letteralmente, ma rappresenta anche il disturbo di una società dotata di uno sguardo spesso malato, tossico: un occhio che uccide, appunto. «Non credo che ci sia qualcosa di più terrificante di una macchina da presa in funziona, che vi guarda» diceva lo stesso Powell, mostrandoci una perfetta manifestazione di questo concetto: mentre scorrono i titoli di testa, il regista inquadra da vicino il proiettore dell’assassino, illuminato nella penombra da una luce sanguigna, acceso, un mostro meccanico dotato di occhi e di vita propria, ulteriore esempio di un potere demoniaco dell’arte già esplorato da Powell in Scarpette rosse. Forte di una importante carriera alle spalle affiancato da Emeric Pressburger, Powell realizza un iconico horror meta-cinematografico che a distanza ormai di 65 anni dalla sua uscita, mantiene ancora tutto il suo macabro fascino.
Michele Bellantuono
