
ABBECINECEDARIO
R come Ricerca
di Alessandro Faccioli
Sarà ancora possibile scrivere una storia del cinema fondata sui documenti, come si è fatto finora? L’inevitabile perdita di molti archivi cartacei di case di produzione, di documenti relativi alla censura, di materiali di lavorazione e copioni, sceneggiature, contratti, corrispondenze, e naturalmente di film, non ha impedito di studiare il Novecento in modo sufficientemente dettagliato, almeno in Europa e in America. L’era digitale presenta sfide differenti e la conservazione dei documenti del nuovo Millennio è tra queste. Poco sarà un giorno a disposizione di studiosi e appassionati. La sicurezza illusoria di disporre delle testimonianze del processo creativo di un progetto audiovisivo lascerà spazio a perdite segnate dalle ricorrenti transizioni tecnologiche. Del resto, anche le foto conservate nel telefono cellulare o nel personal computer, che documentano la vostra vita e quella dei vostri cari, non toccheranno il prossimo secolo. Far finta di non saperlo aiuta a continuare a giocare all’accumulo. E nemmeno i film si conserveranno agevolmente. Bisognerà allora immaginarli, sognarli, a partire da tracce sparse, come noi proviamo a immaginare la vita di una corte italiana del Rinascimento a partire dai versi di un poeta o dai dettagli di un arazzo.
Se esiste una città invisibile del cinema, regno perduto di film usciti dall’orizzonte, una città che Italo Calvino avrebbe amato, si deve trovare su Phasma IV, pianeta inesplorato e trasparente ai margini della nostra Galassia. È Cinémia. Nella sua atmosfera carica di azoto e stronzio fluttuano film prodotti sulla nostra Terra, mandati in orbita per lo streaming, scappati di casa e mai più tornati, per eccesso di traffico, mancanza d’interesse, umano senso del limite e del pudore. Vagano sconsolati attorno a Cinémia, disperando d’esser ritrovati da qualcuno, di essere rivisti, o riutilizzati per qualche progetto found footage, raccolti dalle mani pietose di artisti a volte talentuosi, spesso pretenziosi, immodesti, inconsapevolmente mediocri. Film migranti, sans papier.
Tutto è stato già filmato, poco servirà per sempre, nulla passerà la cruna, come diceva Montale (al quale il cinema sembrava interessare poco). I film lo sanno, e non sgomitano più. I potenti telescopi puntati su Cinémia rilevano questa depressione cosmica ma confondono le scie luminose lasciate dalle pellicole in fuga con una teoria di anelli che sembrano avvolgere Phasma IV. Non sono in realtà anelli, sono orme del disincanto, lacrime d’addio. Non si danno ombre, su un pianeta trasparente. Così i residui d’immagine lasciati balenare da queste fantasmatiche pellicole in transito si accavallano senza più lottare per un posto al sole, e vivono né di luce riflessa, né solo della propria, in un gioco di dissolvenze continue e vorticose transizioni che assomiglia a una danse macabre tragica, follemente gioiosa. Nel frattempo, sulla Terra si continuano a sognare nuovi film, che vengono progettati e poi mai realizzati. O, nel migliore dei casi, realizzati e poi scomparsi: distrutti, introvabili, bloccati dalla censura o da problemi legati ai diritti, per lo sconforto di finanziatori, produttori, autori, pubblico. Raramente però ci si dispera per la perdita di un film di finzione. Ne abbiamo così tanti, disponibili o in fuga. Sono invece le immagini “dal vero”, le riprese di eventi realmente accaduti che toccano le corde più profonde. Ogni nazione ha il suo armadio degli scheletri dimenticati, e si fantastica che contenga filmati inediti di eventi epocali, traumatici. Cesare Battisti vittima sacrificale al Castello del Buonconsiglio, la rotta di Caporetto ripresa dai cineoperatori italiani, Mussolini a Giulino di Mezzegra, Aldo Moro prigioniero…
In una casa nel Nord della Francia non sono state ritrovate decine di film di Méliès considerati perduti? Negli scantinati di un ospedale psichiatrico norvegese non è stata ritrovata la prima versione della Passione di Giovanna d’Arco di Dreyer? Dopo decenni di embargo, non sono stati svelati i meravigliosi materiali di The Other Side of the Wind, lasciati incompiuti da Welles? Una speranza c’è sempre: è proprio della natura umana e, se volete, è la chiave di volta di ogni strategia narrativa. È più facile però dimenticare un film di finzione che non il documento visivo di quel che una società non è disposta a dimenticare. Le immagini prima o poi rientrano dalla porta di servizio, magari passando da un satellite. Sono ottant’anni che si cercano le prove del fantomatico film dei film dei campi di concentramento, girato per le élites naziste nei gironi dell’inferno. Le tracce e le testimonianze ci sono. Il film è con buona probabilità esistito. Non è mai stato trovato e lo si pensa distrutto. E non si sa se sperare che sia a Cinémia, e che vaghi in buona compagnia attorno a Phasma IV.
