ABBECINECEDARIO: O come Ombra
O come Ombra
di Alessandro Faccioli
Ombre che confermano che esisti, ombre di cui aver paura. Ma anche ombre che ci proiettano dove non potremo mai essere, ombre plasmatrici e taumaturgiche. Al cinema l’ombra è padrona di casa, gemella parassita dei corpi proiettati su uno schermo. Se ne accorge subito Maksim Gor’kij, recensendo nel 1896 i primi programmi Lumière alla Fiera di Niznij Novgorod, quando esordisce lapidario: «Ieri sono stato nel regno delle ombre». Lasciando intendere che l’esperienza è stata inquietante, Gor’kij ne coglie il versante fantasmatico e spettrale, più ancora di quello esaltante della riproduzione del movimento e dell’impressione di realtà. Le ombre ci accompagnano però sempre nella sala buia, vagano intorno a noi, allungando il loro abbraccio allo schermo, presenti tra gli spettatori. Sconfinano tra uno spazio reale e uno che sta a noi costruire, con l’immaginazione e con quanto il dispositivo tecnologico e quello narrativo ci offrono. Tanto spaventosa è l’esperienza dello scrittore russo, “padre” del realismo socialista, da fargli presagire un futuro in cui le immagini che allora lo confondevano sarebbero state sostituite da qualcosa di stravagante e ben più allarmante, in grado d’intrattenere uno spettatore assetato di svago ed eccitabile: una signora che si spoglia o un damerino impalato sulla staccionata alla maniera dei turchi, ripreso e poi esibito senza pudore. Le ombre, con il loro potere mortifero, regalano allo scrittore un’intuizione profetica, accostando il presagio della vocazione innata del cinema all’eros e allo snuff movie, alla tensione bestiale al voyeurismo del mangiatore d’immagini in movimento, erede degli spettatori delle serate nere vittoriane con la lanterna magica, e di chi assisteva molti secoli prima allo scempio della carne nei giochi gladiatorii stigmatizzati da Agostino.
Al cinema le ombre che vagano hanno naturalmente incoraggiato l’accostamento alla magia. Numerosi capolavori espressionisti e film d’animazione figli del teatro d’ombre sono stati letti sotto il segno dell’occulto. Per Edgar Morin alla base del mondo magico suggerito dal cinema c’è la capacità fantastica di creare dei doppi. Come e più della fotografia – ci viene detto alla metà degli anni Cinquanta in pagine famose di Il cinema o l’uomo immaginario – i film evocano fantasmi, con le loro ombre in continua trasformazione, a favorire processi d’identificazione in debito tanto con la dimensione ipnotica quanto con quella onirica. La natura magica dell’ombra e quella spettrale del cinema da sempre lasciano residui di disagio alle nostre visioni, vanamente normalizzate dal linguaggio corrente dei film di finzione, che tende alla fluidità e che cerca di immergerci nel flusso conciliante della continuità, dell’adesione empatica, della trasparenza. Le ombre sono lì, con il loro statuto paradossale, a scompaginare le carte: appendici inevitabili e fluttuanti che resistono con la forza del loro volume virtuale, metonimie paradossali che ci richiamano all’irriducibilità di senso di quanto vediamo.
Sullo studio delle ombre e dei tentativi di riprodurle esiste una riflessione di grande fascino, a cavallo tra scienza e filosofia (Casati), storia dell’arte (Gombrich, Baxandall), storia del cinema (Aumont, Païni, Costa). Quel che colpisce del cinema di finzione contemporaneo è il generale disinteresse per le potenzialità visuali e drammaturgiche dell’ombra. La videoarte è invece più spesso e volentieri disponibile, per la sua connaturata propensione alla ricerca visiva. Il punto è provare a capire quanto ancora può essere utile l’ombra al “cinema” dei dispositivi mobili e degli schermi diffusi, nella progressiva e instabile ridefinizione del visibile e del fuoricampo, nell’evocazione di mondi inattingibili, oltre la ricerca delle avanguardie, del noir, degli effetti di genere sclerotizzati dalla pratica consunta. Herzog al punto c’è andato. Nel suo Cave of Forgotten Dreams, svelando le meraviglie delle pitture rupestri di una grotta francese del Paleolitico, il grande visionario ha indagato la vita interiore di uomini di un passato lontano, che si annida tra ombre che ogni volta che si dileguano danno l’illusione di aprire un varco sull’anima delle cose. Ancora a cavallo del mito, in una caverna, là dove tutto è cominciato.