ABBECINECEDARIO: E come Espertone
E come Espertone
di Alessandro Faccioli
Ovvero Età, Esercizio, Eccesso. A dar la dimensione di quanto poco si era esperti quando ci si riteneva tali, quando si discuteva di un film importante e con leggerezza si trattavano a male parole opere considerate con poca attenzione, c’è lo spettro delle re-visioni che incombono a distanza di decenni. Le visioni rinnovate sono però, nel complesso, rare nella vita di uno spettatore non professionista, come le risate nei film di Dreyer. La scarsa propensione dello spettatore-aspirante-competente all’approfondimento e alla verifica, la dice lunga sulla poca serietà del desiderio diffuso di conquistare la patente di espertone senza far fatica. Vedere film non è più comodo che leggere un libro?
Una delle fantasticherie più diffuse è vedersi agire da grandi in un contesto in cui si è stati protagonisti da bambini, per saper finalmente fare nel modo più conveniente ciò che ci è stato un tempo impedito dalla poca esperienza. Rivedere a distanza di tempo Ophüls, Wiseman, Greenaway, Truffaut, Fellini, Reitz in una fase differente della propria esistenza, può però rivelarsi cosa dolorosa, perché i film ti parlano oggi, e a seconda di come reagisci, ti dicono ciò che sei diventato, ciò che non sei più, ciò che non sarai mai.
In un documentario dedicato alle discutibili gioie della cinefilia e alla Cinémathèque française, nonché ad Henri Langlois, suo indimenticato fondatore, uno sconosciuto veterano delle sale d’essai parigine viene gaiamente intervistato. È un topo di sala, presentato dalla didascalia come uno «Spettatore. Più di diecimila film visti al cinema». Faccio due conti e capisco subito che io non arriverò mai a quel numero. Non è per nulla difficile conoscere persone che vivono per le immagini in movimento. Non sempre sono le più pronte a parlarne, benché in una discussione abbia ragione chi un film l’ha visto, al cospetto di chi non l’ha visto. L’occhio strabico, capace di cogliere quello che altri non sono in grado di vedere, non è per fortuna di tutti.
La cinefagia è una brutta bestia. Come il verme solitario si impossessa di te e si diverte a fare un viaggio, sottraendoti energie, obnubilando la ragione. Quanti (e quali) film bisogna dunque vedere (e capire) per potersi fregiare della qualifica di espertone? Esperto agli occhi di chi? Certo non del clochard sociopatico che anni fa davanti a una sala a Bonne Nouvelle sbeffeggiava gli appassionati in fila per assistere all’ennesimo film di una retrospettiva deliziosa, gridando loro in faccia, tra un balzo spiritato e l’altro: «Siete degli stronzi! In fila come coglioni per chiudervi in una sala al buio, in un giorno di sole!». Ma l’espertone, si sa, simili cose le mette in conto e le prende come un incerto del non-mestiere.
In assenza di ricette buone per tutti, si può definire con generosità Espertone chi riesce a soddisfare perlomeno le seguenti cinque condizioni, essendo in grado di: 1) tenersi al passo delle discussioni sul cinema di oggi e di ieri che gli esperti concorrenti propongono a tradimento, con lo scopo di incastrare chi sembra meno navigato di loro; 2) tenere in basso conto la cultura enciclopedica, che accumula date e nomi senza porsi problemi di carattere estetico e teorico, resistendo alla tentazione di correggere chi, per sbadataggine o insipienza, confonde Ingrid con Ingmar, dichiara di aver visto Il sorbetto di Dino Risi e assicura di amare Otto e trenta di Fellini (gli esempi sono il parto d’esame di studenti assai avveduti, che non ambiscono a esser definiti espertoni); 3) dimostrare di aver vissuto. E per aver vissuto intendo aver affrontato le grandi esperienze che l’esistenza prima o poi propone senza preavviso: l’amore, il dolore, la vita, la morte, di cui il cinema di finzione non può fare a meno. Come comprenderne e giudicarne la rappresentazione sullo schermo, nel caso se ne abbia un’idea non più che astratta, mediata? Si può fregare il prossimo una o due volte, millantando esperienze di cui si è sprovvisti ma la cosa non dura e aver vissuto un po’ aiuta a capire il cinema, le sue storie, le sue forme, ed eventualmente a scriverne. Arrigo Sacchi, a chi gli rimproverava di allenare grandi squadre di calcio senza esser stato un vero calciatore, rispondeva chiedendo se a un fantino si chiede di esser stato prima un cavallo. No, nessuno pretende che un esperto, un critico, uno studioso di cinema sia ferrato come un quadrupede e abbia calcato i set, galoppato nelle sale di montaggio, sia stato foraggiato nelle stanze in cui una sceneggiatura è discussa da professionisti, eppure anche questo aiuterebbe, non fosse che per capire cosa a volte non funziona di un film, e perché. E dunque: 4) fare capolino a fine giornata presso amici professionisti, impegnati nel cinema o alle prese con un progetto audiovisivo, per accumulare aneddoti da squadernare al momento giusto e poter dire di esserci stato. Da ultimo, è necessario che il nostro aspirante sia in grado di: 5) parlare disinvoltamente di un film senza averlo visto. Sembra cosa immonda e di grande difficoltà ma, se ci pensiamo bene, una certa familiarità con questa pratica ce l’hanno tutti, inclusi i ciechi. Luciano Bianciardi qualche bel consiglio al riguardo l’ha dato, ai giovani senza arte né parte che vogliono avere successo nel mondo della cultura. Non si è azzardato a dire cosa sia un intellettuale, perché giova che il concetto resti sul vago, ma invita il candidato esperto a frequentare schiere di giovani ingenui che passano le giornate chini sui libri e davanti a uno schermo. E suggerisce di incontrarli e ascoltarli, perché così «avrà a sua disposizione altrettanti segretari diligenti e gratuiti, e saprà da loro tutto quel che occorre sapere. Vada al cinema, possibilmente con la ragazza in galleria, poi si faccia raccontare da lei la trama del film, visto che lui sarà occupato altrove». Forte di questa cinquina di virtù, il novello Espertone non potrà però cullarsi all’infinito sugli allori, perché non è per nulla chiaro quale sia la scadenza della sua agognata, controversa ma ambitissima patente.