
Di bambole e ordigni nucleari
Un commento sul caso Barbenheimer
di Michele Bellantuono
21 Luglio 2023. Data che segna nei cinema statunitensi l’uscita di due film tra i più attesi della scorsa estate: Barbie di Greta Gerwig e Oppenheimer di Christopher Nolan. Si è assistito proprio a un tipico caso di counterprogramming, per cui i grandi studios (qui la Warner Bros. e la Universal Pictures rispettivamente) sfruttano la data di uscita di un loro prodotto come potente strumento di marketing, puntando a sottrarre il più possibile pubblico all’avversario, in un’agguerrita scalata al box office. Nel caso specifico, già nelle settimane precedenti al 21 Luglio, si è iniziato a diffondere inizialmente su Internet un “fenomeno Barbenheimer”: una serie di post e finte immagini promozionali diffuse online, un tentativo satirico di approcciare una immancabile doppia proiezione, capace di attirare una fetta importante di pubblico (grazie alla ovvia fama della bambola e alla figura di Nolan, nome che attira anche i meno cinefili).
Parte tutto dunque da una serie di immagini sui social network, locandine in cui si combinano le tinte rosa di Barbieland alle fiamme della prima detonazione atomica, in cui lo scienziato e la Barbie si fronteggiano in buffe situazioni realizzate con intento di caricatura, tutte giocate su quel forte contrasto, cromatico e tematico, che emerge da un immediato confronto tra i due film. Il mondo di Barbenheimer è, dunque, uno scherzo. Al quale però, secondo molte riviste di settore, è riconosciuto il merito di aver «salvato Hollywood« in una stagione non particolarmente fortunata. Persino Scorsese lo ha definito una «tempesta perfetta», col potere di far emergere un nuovo tipo di cinema.
Se lo trattiamo come la bizzarra fusione di due corpi, Barbenheimer sembra aver preso dal “padre” la carica esplosiva di un fenomeno che si è irradiato rapidamente nell’immaginario dello spettatore medio del 2023: è finito sulla bocca non solo dei giornalisti e delle star (esiste una foto di Greta Gerwig e Margot Robbie con in mano i loro biglietti per Oppenheimer, così come esiste una dichiarazione di Cillian Murphy che invita gli spettatori a vedere entrambi i film lo stesso giorno), ma anche su quella di chi il cinema non lo frequenta nemmeno troppo. Le sale si sono riempite anche di adolescenti, un target non proprio prevedibile per un biopic di tre ore, ricco di dialoghi e povero di azione, su un personaggio storico che certo non includeremmo tra i più “pop”.

Dall’altro lato, quello “materno”, prende le caratteristiche del giocattolo di fama mondiale, un prodotto facilmente suscettibile a strategie di marketing. Fuori da alcune sale, alcuni box permettevano di scattarsi un selfie dentro la confezione della Barbie, estremizzando a tal punto la promozione di quello che è anche un film-giocattolo, co-prodotto dalla stessa Mattel, per quanto firmato da una cineasta associata più al cinema d’autore che non a quello commerciale.
Per il caso Barbenheimer non si può forse parlare di un vero e proprio fenomeno virale, ma se anche un giornale come «The Guardian» in un articolo include Barbenheimer tra i neologismi del 2023 più diffusi sulle proprie pagine, evidentemente la questione supera i confini di Internet e del mercato di Hollywood.

Se mettiamo da parte la lettura più superficiale del fenomeno virtuale, capiamo dai vari contenuti diffusi online, tra cui finti trailer di un crossover inesistente co-diretto da Gerwig e Nolan (o da una IA che oggi potrebbe stupirci proponendone una concreta scrittura o visione), che è facile prendersi gioco di un binomio così assurdo. Il mondo rosa delle Barbie contrapposto all’alba dell’era nucleare, il potere della plastica e quello dell’atomo riuniti in un corpo unico, in grado di smuovere grandi masse (il botteghino lo ha dimostrato). Eppure forse c’è dell’altro, dietro le due iconiche figure attorno alle quali ruotano i rispettivi film. Simboli, miti, accenni a una cultura molto statunitense che in parte filtrano dalla simbiosi di questi due titoli.
Qui ci viene in aiuto un terzo cineasta: Stanley Kubrick. È sua infatti la migliore rappresentazione quel particolare binomio che associa una certa rappresentazione (sessista) della donna alla potenza della bomba nucleare (si veda Filmese N.7 Aprile 2022, pag. 11). Nel suo Il dottor Stranamore, Kubrick mette in scena proprio il concetto di wargasm, parte di un insieme di termini che descrivono un rapporto stretto tra guerra e sessualità, evidentemente consolidato nella cultura militare americana se Kubrick può dedicarvi un’amara risata e una delle migliori black comedy di sempre. Basti pensare che bombshell è utilizzato nell’americano per indicare una donna molto attraente. La Barbie/Margot Robbie piazzata in primo piano con all’orizzonte un’esplosione nucleare in vari fotomontaggi ricorda la Miss Atomic Bomb fotografata nel 1957 con un abito-fungo atomico. Dall’Operazione Crossroads, secondo test nucleare dopo Trinity (quello rappresentato in Oppenheimer) avvenuto nell’atollo di Bikini, prende il nome l’omonimo costume femminile, ideato da Louis Réard per scatenare un impatto «commerciale e culturale esplosivo». Ancora un aneddoto (cinematografico): la prima bomba dei test di Crossroads fu nominata Gilda, come la protagonista dell’omonimo noir di Charles Vidor con Rita Hayworth.

Siamo abituati a considerare i fenomeni di Internet come divertenti manifestazioni di una collettività pronta a reagire al sentimento dell’assurdo con immagini, post, remix, un modo leggero e canzonatorio per entrare in contatto con le trame grottesche del contemporaneo. Le rappresentazioni di Barbenheimer diffuse ormai ovunque potrebbero però rimandare a un immaginario comune e storicamente definito, sepolto nell’inconscio di un’America che ha costruito bombe e prodotto Barbie, facendone dei miti nazionali oggi, inconsciamente, riesumati.