TOP HAT – AROUND THE WORLD
Il videoclip nell’immagine di Michel Gondry
di Lorenzo Rigobello
All’interno della sezione Venezia Classici della 80ª Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia è stato presentato un documentario legato a doppio filo con una pellicola proposta la scorsa stagione in sala qui al Circolo. Il film è Michel Gondry: Do It Yourself (François Nemeta 2023), e fa parte di un piccolo trittico che segna il ritorno sul grande schermo dell’eccentrico regista francese dopo qualche anno di assenza. Michel Gondry: Do It Yourself è un tributo alla carriera del cineasta di Versailles: dagli esordi come videomaker di videoclip musicali all’approdo a Hollywood per tentare l’inserimento nell’industria cinematografica, fino al ritorno a una dimensione più europea e “autoriale” degli ultimi lavori. Il secondo film è sempre un documentario e sempre di Nemeta: In Bed With Michel Gondry (2023), il quale si concentra invece sul processo creativo di Gondry, tentando di rappresentare come lavora la mente del regista: tra ispirazioni e realizzabilità, idee geniali e limitazioni concrete. Questi due documentari hanno preparato il terreno, come dicevamo, al ritorno di Gondry da regista dopo otto anni di assenza, con Il libro delle soluzioni, visto in sala lo scorso 7 dicembre. Da questa breve filmografia si intuisce come François Nemeta si ponga in una posizione di privilegio nel raccontare la carriera e il personaggio di Gondry, i due infatti sono legati da un rapporto d’amicizia, oltre che da quello di collaborazione, fin dagli esordi del regista francese negli anni ’80. In Michel Gondry: Do It Yourself, Nemeta racconta come da giovane appassionato di musica post punk fosse rimasto folgorato dai brani, e soprattutto dai videoclip, della band parigina Oui Oui, tra le fila della quale militava proprio Gondry in veste di batterista oltre che di realizzatore degli stessi videoclip. È noto quanto questa attività sia stata importante per il lancio della carriera di Gondry. Un fitto lavoro nel settore musicale lo ha impegnato soprattutto tra gli anni 90 e l’inizio dei 2000, ma si può dire che non l’abbia mai abbandonato veramente. Altresì, nei videoclip stessi sono chiaramente riconoscibili i capisaldi del suo stile immaginifico, poi tradotti sul grande schermo.

In virtù del legame tra videomaking e cinema, tra musica e immagini in movimento, ci proponiamo, a partire da parte della videografia menzionata in Michel Gondry: Do It Yourself, di prendere in esame alcuni dei videoclip più rappresentativi girati da Gondry, per rimarcare l’unicità del suo stile riconoscibile in entrambi i campi. Come non partire proprio da uno dei cortometraggi realizzati per gli Oui Oui: per accompagnare il brano strumentale Bolide (1986). Gondry realizza un video in stopmotion con scenografie totalmente artigianali e dall’estetica e ritmo futuristi. In questo breve video, che vede una macchina sfrecciare in ambienti urbani durante una gara automobilistica, sono presenti alcuni elementi che saranno ricorrenti in tutto il lavoro di Gondry: la cura e maniacalità nella creazione (in prima persona) di scenografie e coreografie molto articolate; la fascinazione per effetti speciali artificiosi che rimandano al precinema, si veda il tributo a George Méliès che compare nelle vesti di un mago in una sorta di cameo; infine nella sequenza finale in soggettiva abbiamo già un esempio dell’importanza che Gondry riserva alla concordanza tra immagini e sonoro, sempre complementare, mai didascalica. La consacrazione definitiva del Gondry regista di video musicali, nonostante le illustri collaborazioni precedenti con Björk, Rolling Sones, Lenny Kravitz e altri, arriva con Around the World (Daft Punk, 1997), dove prende vita l’unione letale di canzone cult e video iconico. Qui possiamo percepire l’approccio creativo che il regista ha nei confronti della trasposizione di un brano in immagini. Come spiega nel documentario di Nemeta, Gondry si lascia investire da una moltitudine di idee all’ascolto di una canzone, sarà poi la migliore a prevalere sulle altre dopo una strenua lotta nella testa del regista. Around the World è la prova di come un’idea molto semplice (cinque gruppi di ballerini eseguono una coreografia in una scenografia minimale) possa sostenere la scena per quattro minuti di brano strumentale. Ogni gruppo di eccentrici elementi danzanti (4 mummie, 4 scheletri, 4 hiphoppers giganti e 4 nuotatrici sincronizzate e 4 robot) è associato a uno strumento, e balla a tempo con il relativo ritmo: in questo modo lo spettatore è chiamato a riconoscere le sonorità e collegarle. L’idea in sé però non è tutto: i costumi, la scenografia, le luci, i movimenti di macchina e il montaggio, ma soprattutto le coreografie (curate da Blanca Li), contribuiscono coralmente alla riuscita finale di un instant classic della musica elettronica. Ultima nota, forse di colore: questo videoclip esce solo un paio di anni dopo la pubblicazione del video di un altro brano dello stesso album dei Daft Punk per la direzione dello storico rivale, poi diventato amico, Spike Jonze: Da Funk (1995). Il rapporto di ammirazione/antagonismo tra i due è ben reso nel citato doc di Nemeta. Potremmo considerare il 2002 come il punto di arrivo di questa fase della carriera di Gondry, e gli ultimi tre video di cui parleremo sono proprio di quest’anno. Il primo singolo è Come Into My World di Kylie Minogue: nell’ambientazione di un incrocio stradale la camera gira su se stessa senza soluzione di continuità, seguendo la cantante che, a ogni giro completo di macchina da presa, moltiplica la propria presenza sullo schermo.

Di nuovo ci troviamo di fronte a un’idea semplice (un solo movimento di macchina reiterato) dalla complicata realizzazione: c’è bisogno di un mix di organizzazione coreografica e effetti speciali (possibili grazie al digitale) perché il risultato sia convincente. Inoltre è interesse come Gondry si pone nei confronti di una hit pop di questo genere: sembra giocare sul concetto di ripetitività tipica del “tormentone” amplificando il ruolo ritornello, che dà il via a ogni nuova ripetizione coreografica. Alla terza sovrapposizione la scena diventa un caos totale e lo spettatore perde ogni punto di riferimento, così diventa naturale concentrarsi sulla figura centrale e moltiplicata di Kylie Minogue, in un’ulteriore rielaborazione del cliché del videoclip pop dove la star occupa sempre il primo piano. Molto distante dallo stile del precedente è il video musicale di Star Guitar (The Chemical Brothers, 2002) dove ogni personalismo si annulla del tutto. Rimane però il concetto di reiterazione che ben si addice alla musica elettronica. Questa volta a eseguire la coreografia non sono ballerini (come in Around the World), ma veri e propri elementi grafici che rappresentano i gruppi ritmici del brano. Alla base c’è un’idea quasi banale: il paesaggio che muta al finestrino di un treno. Di nuovo è l’esecuzione che sorprende: gli elementi del panorama passano sullo schermo in perfetta sincronizzazione con la musica, ipnotizzando l’ascoltatore in un loop psichedelico. L’ultima canzone del trittico ci riconnette agli esordi del cineasta francese, con il ritorno dell’animazione in stopmotion nel video di Fell in Love with a Girl (The White Stripes, 2002). Il minimalismo più assoluto di componenti (mattoncini LEGO) e colori (cinque) fanno da contrappunto alla frenesia del brano. Le forme primarie rimandano alle arti grafiche, la messa in scena compone già il montaggio, la fantasia e l’artigianalità di Gondry riescono a coinvolgere lo spettatore, ammirato da dettagli come il lip sync e l’espressività delle figure. Questi sono pochi esempi, che però rendono l’idea del ruolo che la musica ricopre nel lavoro e nella mentalità di Michel Gondry. Alla luce di questo rapporto si può leggere per esempio la scena delle prove con l’orchestra ne Il libro delle soluzioni, non solo come l’ennesimo momento di caos nel processo creativo del regista, ma anche come frutto di grande intuizione e ispirazione, dove la musica diventa uno strumento per concretizzare una sconfinata fantasia, così difficile da canalizzare.