
5 X 2020
Classifiche (per nulla vincolanti) sull’anno cinematografico concluso
di Redazione
Ci siamo da poco lasciarti alle spalle un anno, il 2020, che definire unico risulterà sicuramente riduttivo, mano a mano che arriveremo a percepirne realmente gli effetti sulla lunga distanza. Uno degli “sport” che da sempre spopola nello scavallare da un anno al successivo, è quello di stilare classifiche: del meglio, del peggio, di quanto poteva essere, di quanto non è stato…
Sempre un poco dubbiosi rispetto all’utilità di questo genere di operazioni, abbiamo che il 2020 richiedesse un approccio differente anche in questo – soprattutto in merito al nostro settore, quello cinematografico, che ha attraversato probabilmente la fase di crisi più profonda dalla sua nascita, avvenuta 125 anni fa. Abbiamo allora invitato i redattori di Filmese e riassumere il loro anno da spettatori in cinque soli titoli: rigorosamente non in ordine di preferenza, né i migliori in senso assoluto, piuttosto cinque film che rappresentassero un’istantanea di questi mesi in cui il cinema – dal vivo o in streaming – è stato spesso centrale nel discorso culturale, così come nella quotidianità del nostro isolamento. Non solo film usciti in distribuzione italiana, pertanto, ma anche visioni festivaliere o da rassegne online, per incuriosire e sollecitarci a vicenda un desiderio di vedere tanto nuovo e buon cinema nel 2021.

• THERE IS NO EVIL di Mohammad Rasoulof
• THE WASTELAND di Ahmad Bahrami
• GENUS PAN di Lav Diaz
• SORRY WE MISSED YOU di Ken Loach
• NOTTURNO di Gianfranco Rosi
In un 2020 in cui ho trovato poco interessante il cinema “occidentale”, scelgo due film iraniani – per me, oggi, la Persia è la migliore fucina della settima arte mondiale – premiati a Berlino e a Venezia e l’ennesimo capolavoro di Lav Diaz. La quota europea la concedo all’ottimo Loach (film del 2019, ma uscito in Italia quest’anno) e se devo fare un nome italiano, dico Rosi: il perché, magari, lo spiegherò più avanti.
Luca Romeo

• LE EUMENIDI di Gipo Fasano
• UNDINE di Christian Petzold
• ROUBAIX, UNE LUMIÈRE di Arnaud Desplechin
• MANK di DAvid Fincher
• WE ARE WHO WE ARE di Luca Guadagnino
In un anno cinematograficamente scarno, in cui mi sono persa tutti i grandi titoli festivalieri, sono pochi i film che mi hanno lasciato qualcosa. Le Eumenidi è l’unica vera folgorazione di questa lista: un esordio di rottura firmato da un giovane regista italiano. Mi sono concessa una variazione sulla serialità: con We Are Who We Are, Luca Guadagnino riconferma la propria limpidissima idea di cinema.
Chiara Zuccari

• THE LIGHTHOUSE di Robert Eggers
• UNCUT GEMS di Benny e Josh Safdie
• DA 5 BLOODS di Spike Lee
• COLOR OUT OF SPACE di Richard Stanley
• TENET di Christopher Nolan
The Lighthouse: alla sua opera seconda, Robert Eggers si conferma un autore che non teme di sporcarsi le mani con il genere, sempre originalissimo nel modo in cui cerca di farci paura. E con un’attenzione alla ricostruzione storica e alla lingua che ha pochi eguali. Uncut Gems: un caos controllato al cui centro si muove un protagonista che vuol dimostrare a tutti di che pasta è fatto. Uncut Gems è qualcosa che non si vede spesso: una parabola discendente che esalta. Da 5 Bloods: date subito un Oscar a Delroy Lindo e chiudiamola qui. Con Da 5 Bloods, Spike Lee dice la sua sul l’America e su come il passato non sia mai passato finché non ce lo lasciamo alle spalle per costruire insieme il futuro. Color Out of Space: il nuovo sciamanesimo di Nicolas Cage al suo massimo, e il ritorno di un regista che non ha niente da perdere e tanto da dire. Un omaggio a Carpenter e uno dei migliori adattamenti di Lovecraft in assoluto.
Marco Triolo

• CARELESS CRIME di Shahram Mokri
• THE INVISIBLE MAN di Leigh Whannel
• MANDIBULES di Quentin Dupieux
• UNDINE di Christian Petzold
• EUPHORIA di Sam Levinson
L’anno è stato tremendo, ma senza il cinema sarebbe stato inaffrontabile! Tra visioni in streaming e la boccata d’ossigeno della Mostra del Cinema di Venezia, scelgo cinque titoli che mi hanno trasmesso tutta la freschezza di un’arte che ha appena compiuto 125 anni: sia che si tratti di muoversi attraverso il genere (horror per The Invisible Man, mélo per Undine), confermando come schemi collaudati possano sempre venire re-inventati, sia che si tratti di spiazzare ogni certezza dello spettatore. Con Mandibules il matto/mago Dupieux porta il suo progetto personalissimo di cinema a vette incredibili e lo fa schiantandoci dalle risate senza dover rendere conto a nessuno (una mosca gigante? senza spiegazione alcuna? sì!), mentre il giovane cineasta iraniano Mokri ci regala con Careless Crime un film-saggio travolgente sul senso del racconto e sulle piegature dello spazio-tempo, roba da far piangere di vergogna Nolan. Menzione speciale per la serie Euphoria, bloccata momentaneamente dal Covid, che mi ha conquistato per la capacità di raccontare senza banalità ma con grande stile e sfacciataggine, attraverso il lessico del sesso e della sessualità, cosa significa essere adolescenti oggi».
Luca Mantovani

• DOROGIE TOVARISCHI di Andrei Konchalosky
• DINNER IN AMERICA di Aman Carter Rehmeier
• THIS IS NOT A BURIAL, IT’S A RESURRECTION di Lemohang Jeremiah Mosese
• LIFE FINDS A WAY di Hirobumi Watanabe
• BEAST CLAWING AT STRAWS di Kim Yong-hoon
Menzione speciale per THE RETURN OF TRAGEDY di Bertrand Mandico
Questo triste 2020 non sarà certo ricordato per le sue uscite nelle sale cinematografiche. Ma il vuoto lasciato dalla chiusura delle stesse è stato comunque (in parte) colmato da visioni virtuali, con qualche fortunata eccezione festivaliera che abbiamo potuto vivere in carne e ossa. Questi 5 titoli non rappresentano una preferenza o una classifica qualitativa, quanto piuttosto le variegate tappe del viaggio di uno spettatore diviso tra esperienze in cinema deserti e sanificati e più modeste visioni domestiche. Insomma, anche nell’anno della pandemia il cinema è restato la nostra porta sempre aperta sul mondo.
Michele Bellantuono

• LA NUITE DE ROIS di Philippe Lacôte
• STO PENSANDO DI FINIRLA QUI di Charlie Kaufman
• CITY HALL di Frederick Wiseman
• WOLFWALKERS di Tomm Moore e Ross Stewart
• HOPPER/WELLES di Orson Welles
La Nuit de Rois narra di una prigione, perduta in mezzo ai boschi, luogo di un confinamento da cui evadere solo attraverso suggestioni e illusioni generate da storie, da un racconto notturno che incorona un re sacrificale ogni luna di sangue. La necessità del racconto è il punto di partenza che prosegue con gli innumerevoli bicchieri di HOPPER/WELLES e con la sinistra riunione familiare di Sto pensando di finirla qui, incrociando l’esperienza festivaliera alle visioni in streaming. E poi l’animazione, con Wolfwalkers, ultimo capitolo della trilogia dedicata al folklore irlandese da Tomm Moore. Infine Frederick Wiseman, che con City Hall ha filmato l’opera quotidiana di chi amministra la città di Boston: da noi paiono quattro ore di fantascienza.
Francesco Lughezzani

• LA RAGAZZA D’AUTUNNO di Kantemir BALAGOV
• RITRATTO DELLA GIOVANE IN FIAMME di Céline Sciamma
• STO PENSANDO DI FINIRLA QUI di Charlie Kaufman
• I’M REALLY GOOD di Hirobumi Watanabe
• IN ANYTHING HAPPENS I LOVE YOU di Michael Govier e Will McCormack
In questo strano 2020, fatto di visioni mancate o rinviate, sono stati alcuni ritratti femminili a emozionarmi particolarmente. Ija e Masha, segnate dalla guerra vissuta al fronte e da una maternità negata; Marianne ed Heloise, novelle Orfeo ed Euridice; Lucy, figura misteriosa e allegorica; Riko, bambina limpida e consapevole in un Giappone bucolico; l’ombra di una figlia morta in grado di rimettere insieme le vite spezzate dei genitori.
Riccardo Chiaramondia

• LA FLOR di Mariano Llinas
• STO PENSANDO DI FINIRLA QUI di Charlie Kaufman
• THE WOMAN WHO RAN di Hong Sang-soo
• CARELESS CRIME di Shahram Mokri
• THERE IS NO EVIL di Mohammad Rasoulof
menzioni speciali
• L’UOMO CHE BRUCIAVA I CADAVERI di Juraj Herz (restauro)
• BIR BASKADIR di Berkun Oya (serie)
Si introduce il fluviale esperimento, fra il cinematografico e il seriale, La flor del geniaccio argentino Mariano Llinas: 808 minuti spezzati in 6 episodi che dilatano fino a limiti impensati sinora la narrazione per immagini (in Italia, qualche timido passaggio in festival coraggiosi: attendiamo almeno l’homevideo!). Menzione anche per il prolifico e amatissimo autore coreano Hong Sang-soo, che torna dopo un anno di silenzio (singolare per un regista capace anche di 3 film all’anno) con The Woman Who Ran, una storia di donne toccante nella sua straordinaria semplicità. Con tre menzioni, Sto pensando di finirla qui si conferma invece il film più amato dalla redazione di Filmese: l’abbinata Charlie Kaufman + Netflix ci ha regalato il migliore film dell’anno. Seguono le doppie citazioni per Careless Crime e There Is No Evil, a confermare l’ottimo stato di salute del cinema iraniano (ne riparliamo estesamente sul numero di febbraio di Filmese).
Roberto Pecci

Presentate le personali classifiche dei redattori di Filmese, proviamo a tirare le somme di un anno tanto bislacco – anche cinematograficamente – e constatare alcune interessanti sovrapposizioni, pur avendo noi tutti “consumato” cinema soprattutto nei nostri personali isolamenti.
• STO PENSANDO DI FINIRLA QUI di Charlie Kaufman
• CARELESS CRIME di Shahram Mokri
• THERE IS NO EVIL di Mohammad Rasoulof
• UNDINE di Christian Petzold
• LIFE FINDS A WAY e I’M REALLY GOOD di Hirobumi Watanabe
Partendo dal fondo, ci fa felici aver scoperto un nuovo autore, che in realtà nuovissimo non è (avendo esordito nel 2008), ma il cinema di Hirobumi Watanabe ha raggiunto il nostro paese solo in tempi recentissimi, grazie al lavoro Far East Film Festival di Udine e della sua piattaforma streaming, che non possiamo che consigliarvi per recuperare tante suggestive visioni dall’oriente. Nelle nostre classifiche, Hirobumi Watanabe viene citato due volte ma con due film diversi: Life Finds A Way e I’m Really Good.
In quarta, terza e seconda posizione si attestano tre film che hanno ricevuto due menzioni ciascuno: il sempre più fondamentale Christian Petzold, che dopo una prova un po’ incerta, torna con un melodramma potentissimo e senza compromessi, che abbraccia sfacciatamente gli aspetti più fiabeschi del genere (e del racconto cui si ispira) per consegnarci con Undine una possibile declinazione di cosa oggi è mélo.
Accanto al cinema della vecchia Europa, si conferma la centralità assoluta del cinema iraniano nel panorama cinematografico mondiale, con ben due film sul podio: There Is No Evil di Mohammad Rasoulof premiato con l’Orso d’oro a Berlino, dissertazione in quattro parti su male e coscienza; Careless Crime di Shahram Mokri, che sempre si interroga sui territori della cattiva coscienza, ma lo fa con un dirompente film-cervello che viaggia fra i contorcimenti dello spazio tempo, aprendo un varco metacinematografico di rara potenza e fascino.
Prima posizione sul podio, però, la conquista il cinema americano, ma con l’opera di uno dei suoi figli più insubordinati – quel Charlie Kaufman che, affermatosi come sceneggiatore geniale per registi genialoidi (Spike Jonze e Michel Gondry su tutti), passato anche dietro la macchina da presa ci ha dimostrato, con appena tre film, di essere un autore completo, anzi. Con Sto pensando di finirla qui, quasi impensabile incontro con il colosso Netflix, Kaufman confeziona un film innanzitutto mirabile sul piano visivo e attoriale, che si fa incalzante riflessione sull’immobilismo che ha caratterizzato il 2020, ma in senso più ampio su una generazione incastrata nel basso orizzonte di una crisi civile e intima asfittica e protratta da troppo tempo.
Questa ideale cinquina non vuole certo esaurire un anno che, povero di cinema, non è però stato avaro di film e soprattutto di buoni film. È un voler sollecitare la curiosità e magari stimolare il desiderio di recuperare qualcuna di queste visioni – così come è augurio per un 2021 che finalmente ci restituisca la possibilità di goderne assieme, al buio della sala cinematografica.