Ombre di fuoco
Intervista a Shin’ya Tsukamoto
di Riccardo Chiaramondia
Fotografie di Francesco Lughezzani
Nell’ultimo anno e mezzo mi sono dedicato alla realizzazione di una tesi[1], consultabile presso la biblioteca del Circolo del Cinema, sull’influenza degli eventi nucleari occorsi in Giappone nel 1945 e nel 2011 sul cinema di Tsukamoto Shin’ya. In occasione della presentazione di Hokage (Ombra di fuoco) all’ultima Mostra del Cinema di Venezia ho avuto l’occasione di incontrarlo, intervistarlo e parlare con lui sia della sua ultima opera, sia del mio lavoro. Mi accompagnava Francesco Lughezzani, di cui potete vedere alcune foto realizzate durante l’incontro, a corredo dell’articolo. Per rendere maggiormente fruibile l’intervista introduco brevemente il lavoro da me realizzato. Nel corso della ricerca ho diviso la filmografia di Tsukamoto in due fasi, una che va dall’inizio della sua carriera fino al 2011 e una successiva a questo anno, comprendente gli ultimi tre film Kotoko, Fires on the Plain e Zan ai quali è ora possibile aggiungere Hokage: le prime pellicole sono state messe in relazione al bombardamento di Hiroshima e Nagasaki, mentre le restanti con l’incidente di Fukushima. Per non imporre il punto di vista di un esterno, che per motivi anagrafici e di origine non ha vissuto tali eventi, ho deciso di compiere solamente una lettura comparata a livello iconografico e narrativo tra le opere di Tsukamoto e il cinema, la letteratura e le testimonianze dirette diffusisi in seguito a queste catastrofi.
Ciò che ne è risultato è una forte presenza, con poche eccezioni, di elementi rimandanti a Hiroshima, Nagasaki e all’energia nucleare nelle opere comprese tra The Phantom of Regular Size e Tetsuo: The Bullet Man – i più espliciti si trovano ne Le avventure del ragazzo del palo elettrico e Bullet Ballet – ma in nessun caso essi sono al centro della narrazione. L’elemento atomico, infatti, è sempre secondario e metaforico, utile a rafforzare il tema principale dei film che in questo periodo è la crisi sempre più evidente del salaryman, la principale figura economica del Giappone dal secondo dopoguerra fino allo scoppio della bolla speculativa alla fine degli anni 80. La crisi del colletto bianco si accentua sempre più fino al crollo definitivo di questo tipo umano in Bullet Ballet, pellicola in cui per la prima volta appare l’immagine esplicita dell’esplosione di un ordigno nucleare. Inoltre, è verosimile pensare che questi elementi – resi principalmente attraverso i segni fisici delle mutazioni, la centralità delle cicatrici e la caratterizzazione di alcuni scienziati presenti nei film – siano spesso inseriti in maniera inconscia in quanto parte integrante della cultura giapponese contemporanea. L’approccio nei tre film successivi al 2011 è, invece, differente: in essi, se non in un fugace spezzone di un telegiornale in Kotoko, non è presente alcun riferimento al nucleare, eppure l’influenza degli eventi di Fukushima e dei mutamenti che ha provocato in Giappone sono evidenti. Fires on the Plain e Zan sono i primi due film storici realizzati da Tsukamoto ed essi sono ambientati in due epoche di forte cambiamento e cesura con il passato: la fine della seconda guerra mondiale e la fine dello shogunato, momenti in cui il sistema socio-politico giapponese ha subito un drastico cambiamento. Il Giappone post Fukushima, come detto da Tsukamoto in una delle risposte all’intervista, si è trovato allo stesso modo ad affrontare con un rinnovato spirito critico la propria contemporaneità e alcune questioni rimaste fino ad allora taciute. In particolar modo a essere preoccupante secondo il regista è il riarmo del paese voluto da Abe e il rinato sentimento bellico: questo timore è alla base degli ultimi film di Tsukamoto.
Hokage, realizzato a cinque anni di distanza da Zan, si inserisce nel solco lasciato dalle due opere precedenti. Come si vedrà a breve il film risulta essere maggiormente ottimista, pur presentando una realtà drammatica: i soldati rientrati dalla guerra sono condannati a rivivere continuamente gli orrori vissuti, al punto da far chiedere a uno dei protagonisti se l’essere sopravvissuti sia un bene, le donne sono costrette per sopravvivere a dedicarsi alla prostituzione con i connessi rischi per la salute e i bambini, spesso orfani, sono privati della loro innocenza, costretti a rubare o a lavorare duramente in cambio di cibo. E in questa disamina di drammi sociali e umani appare nuovamente una bomba, la prima dopo Bullet Ballet, un elemento che non può essere considerato casuale. Se, però, i due film precedenti erano un monito, un invito alla memoria come unico mezzo per prevenire guerre future Hokage, come detto da Tsukamoto alla presentazione del film, è una preghiera.
I suoi due film precedenti, Fires on the Plain e Zan, sono ambientati alla fine di un periodo di guerra e i finali drammatici portano con sé un senso di lutto. Hokage, invece, è ambientato nel dopoguerra, un momento di ripresa e rinascita, seppur fortemente segnato dai traumi bellici. Questo e la scelta di raccontare la storia attraverso gli occhi proiettati verso il futuro di un bambino sono segni di una sua maggiore fiducia e ottimismo verso il futuro rispetto agli scorsi anni?
Esattamente così.
In Hokage la protagonista riscontra sul proprio corpo i segni di una malattia che per la rappresentazione dei sintomi e della sua scoperta può ricordare la malattia nucleare presentata da Ibuse Masuji ne La pioggia nera. Subito dopo viene mostrata la detonazione di una bomba e una città distrutta da essa. C’è una correlazione tra questi due eventi? E la rappresentazione della bomba atomica in un contesto sociopolitico teso come quello attuale, sia in Giappone sia nel resto del mondo, che significato può assumere?
La malattia della donna più che derivare da un collegamento alla chimica di un’esplosione atomica è una malattia che deriva dall’essersi prostituita e questo è un legame con la guerra: la guerra comporta quella situazione e quindi porta a questa conseguenza. Allo stesso tempo ho voluto legare questa malattia alla scena successiva rappresentante la città distrutta [dalla bomba, N.d.R.] che è un’altra conseguenza della guerra: in questo senso ci può essere un’attinenza, anche se non tanto legata al nucleare in sé quanto alla devastazione che una guerra crea. Per quanto riguarda la situazione attuale è certo che ogni guerra che dovesse nascere ai giorni nostri comporterebbe conseguenze altrettanto gravi. Uno dei problemi è che il Giappone è pieno di centrali nucleari, basterebbe che qualcuno lanciasse sul Giappone una bomba nucleare e a catena ne nascerebbe un disastro.
Nel lavoro che ho realizzato sulla sua opera ho posto in evidenza la presenza di riferimenti iconografici e narrativi agli eventi nucleari che hanno segnato la storia del Giappone. Ho notato che essi non sono mai diretti, ma inseriti nella narrazione come elementi secondari, spesso metaforici: due degli esempi più espliciti possono essere Tetsuo e Le avventure del ragazzo del palo elettrico. Come pensa che i suddetti eventi abbiano influenzato, consciamente o inconsciamente, la sua opera?
Per quanto riguarda Tetsuo molte persone hanno dato questa interpretazione sul legame tra la metamorfosi fisica e le radiazioni nucleari [lui non si esprime, N.d.R.]. Pensando a Le avventure del ragazzo del palo elettrico non è tanto collegato ala bomba, all’esplosione o alla guerra, ma ero interessato alla condizione post-apocalittica che era la stessa di Akira: ero interessato a questo grande buco, questa grande voragine che si apre come segno di un mondo che è stato distrutto, ma che è già abituato all’idea di quel tipo di esistenza. Adesso però è diverso, mi interessa il discorso sulla guerra in sé, rispetto a quei film mi sono molto distanziato.
Mi sono imbattuto in alcune affermazioni di Gertrude Stein riguardo al suo rifiuto di parlare del bombardamento di Hiroshima e Nagasaki perché da persona che non ha vissuto gli eventi si sarebbe sentita di imporre una visione personale e non lecita compiendo così una nuova violenza. Mi sono interrogato molto su questo ed è stato un pensiero che ha influenzato molto il mio approccio al lavoro che ho realizzato. Lei, che negli ultimi anni sta trattando importanti momenti storici, cosa ne pensa?
Vorrei fare un rapporto con Fires on the Plain, in quel caso si trattava della trasposizione di un famosissimo romanzo di Ōoka che effettivamente aveva vissuto la guerra. Quando ho voluto trasporre il romanzo c’erano ancora tantissimi sopravvissuti e ho voluto intervistarne moltissimi per sentire le loro testimonianze e partire dalle esperienze reali di queste persone. Man mano che le intervistavo mi rendevo conto che il romanzo era fedelissimo a quella realtà che descriveva e quindi ho pensato di trasporlo così com’è. Questa è stata una lezione fondamentale anche per girare quest’ultimo: partire dai ricordi delle persone reali per arrivare alla descrizione di una situazione che in prima persona non ho potuto vivere.
In Giappone dopo gli eventi del 2011, scatenati dal terremoto del Tōhoku e dall’incidente alla centrale di Fukushima, ci sono stati grandi cambiamenti sociali come le politiche militari varate dopo il ritorno al potere di Abe e il nuovo sentimento di contestazione contro il governo da parte della popolazione. Questi mutamenti hanno avuto un riflesso anche nell’arte, compreso il suo cinema. La mia visione, però, è da persona esterna: volevo quindi chiederle se il 2011 è stato un carburante che ha accentuato fenomeni sociali già in atto o se questi cambiamenti sono nati in seno a un momento di vuoto generato da eventi così traumatici?
Sicuramente c’è una fortissima relazione con Fukushima. Il 2011 è anche l’anno di Kotoko di cui avevo già scritto la sceneggiatura e che nella realizzazione, avvenuta a cavallo con gli eventi di Fukushima, ha subito automaticamente un cambiamento: pur non riscrivendone la sceneggiatura ha subito una trasformazione ed è diventato il segno di quella trasformazione che Fukushima avrebbe poi determinato e che ha condizionato tutti gli anni a seguire. Questo perché dall’impatto di Fukushima tutti si sono resi conto che c’erano situazioni in corso a cui prima non veniva dato il giusto peso: parlando di Fukushima sono venute a galla tantissime situazioni tra queste anche il rischio di avvicinarsi alla guerra. Già allora mi preoccupavo del futuro dei più giovani.
[1] Da Hiroshima e Nagasaki a Fukushima: Il nucleare nel cinema di Shin’ya Tsukamoto, R. Chiaramondia (Alma Mater Studiorum – Università di Bologna, 2023)