
Kristen Stewart, l’eterna teen
Da bambina è caduta nel pentolone del Cinema
di Marco Triolo
Kristen Jaymes (!!) Stewart nasce nel cinema. Proprio addentro all’industria cinematografica americana: il padre è un direttore di scena e produttore televisivo, la madre una script supervisor. Sono anche, ci piace pensare, due nerd che si sono incontrati a qualche serata a tema con quiz sul mondo del cinema, dove è scoccata la scintilla. Solo così si spiega il secondo nome di Kristen: chiaramente il padre si stava sfregando le mani, certo che avrebbe chiamato il suo secondogenito James Stewart, come l’attore di hitchcockiana memoria. “Ma, ahimè, sei nata tu”, e allora che fai? Cambi spelling e lo ricicli come secondo nome, et voilà! Il successo è scritto nelle stelle.
E inizia anche molto presto per Kristen, quando ancora è una bambina e prende parte a I Flintstones in Viva Rock Vegas, La sicurezza degli oggetti e, soprattutto, Panic Room, il ruolo che la piazza sulla mappa dei nuovi volti di Hollywood. Ancora qualche ruolo da teenager – in Oscure presenze a Cold Creek, Le parole non dette, Zathura e Into the Wild, tra gli altri – prima della SVOLTA, quella vera, portata da quella saga là. Sì, quella, dai. Quella coi vampiri sberluccicosi, ne hanno fatti cinque, presente? Non la diciamo perché leggenda vuole che, se pronunci il titolo tre volte, ti appare Robert Pattinson sberluccicoso nello specchio. Oddio, magari a qualche lettrice o lettore di Filmese farebbe anche piacere.

Dicevamo: quella saga là è il biglietto per l’Olimpo di Hollywood, e K-Stew lo raggiunge appena ventenne, dopo una carriera già molto buona come attrice bambina. E ora che si fa? Kristen prende una decisione inaspettata: pur non schifando i big money dei blockbuster americani – Biancaneve e il Cacciatore – si getta a capofitto nei ruoli impegnati del cinema indie e d’autore. Così arrivano Still Alice, American Ultra e Café Society, ma soprattutto arrivano le due collaborazioni con Olivier Assayas, Sils Maria e Personal Shopper, a definire un po’ le intenzione dell’attrice per il decennio successivo.
E sono proprio questi due film a instradarci verso la cosa di cui siamo qui a parlare: Kristen Stewart, Canə o Mito? Saprete già, se avete un po’ seguito questa rubrica, che è sempre difficile dare una risposta netta. Recitare al cinema e recitare a teatro sono due cose ben diverse. Per dirne una, a teatro devi essere veramente capace di recitare. Al cinema a volte ti salva il carisma, quella qualità indefinibile se non usando una delle espressioni più abusate di tutti i tempi: “bucare lo schermo”. Ecco, K-Stew lo schermo non solo lo buca, lo trafora con una trivella gigante da cartone animato fino a sbucare in Cina, per far visita al presidente Xi Jinping in nome dell’America.
Il problema, forse, è che questo tipo di dote ti salva quando il materiale non verte completamente sulla parola, e infatti Kristen funziona benissimo nel bistrattato Charlie’s Angels, dove ha due espressioni (con e senza acconciatura punk) e le sa far fruttare (perché tendenzialmente mena le mani). Diverso è quando tutto poggia sulla recitazione pura, sull’abilità di un attore di trasmettere emozioni, cambiare registro o vendere anche i dialoghi più improbabili. C’è una scena di Personal Shopper in cui il suo personaggio, Maureen, deve descrivere il suo incontro con un fantasma. È una scena ridicola, scritta male, fuori contesto, in un film bizzarro, diseguale, poco riuscito. E lei non ce la fa, non te la vende. Anzi, finisce per sottolineare ancora di più quanto bizzarra e scritta male sia quella scena.
Nella sua mente, Kristen Stewart è un’attrice che lavora di sottrazione. Quello che ne esce è però acerbo e monocorde. Kristen solleva il labbro in una smorfia da teenager annoiata, Kristen abbassa lo sguardo per comunicare sofferenza e disagio, Kristen scuote la testa quando c’è del non detto che la assilla. È incredibile scoprire come gran parte del repertorio di faccette e manierismi di Spencer – UN FILM PER CUI È STATA CANDIDATA ALL’OSCAR, sì, lo sappiamo, ma è successo anche a Rami Malek – fosse già ben presente e radicato nella sua recitazione: basta rivedere Seberg per rendersene conto.
Eppure Kristen prosegue, imperterrita, e non possiamo che ammirarla. Recita per Cronenberg, presiede la giuria della Berlinale. Il mondo del cinema che conta “la vede”, come direbbe James Cameron. Non può essere davvero scarsa, giusto?
Ai posteri l’ardua sentenza. Quello che qui ci sentiamo di dire è che, per lo meno nel caso di Spencer, parte della colpa è proprio della direzione di Pablo Larraín, uno che è riuscito a rendere Canə anche Natalie Portman (in Jackie). Forse K-Stew non ha ancora incontrato il suo fratello Coen, il regista che, come accaduto a quel cagnaccio di George Clooney, ti prende, ti dà le giuste sberlette sulle mani quando fai l’ennesima faccetta a buon mercato, ti svezza e ti trasforma in un attore vero. Forse è solo questo che manca, l’ultimo ostacolo da superare verso la gloria imperitura e una pioggia di premi meritati. Vai Kristen Jaymes, sei tuttə noi!