Sindrome di Cronenberg
Crimes of the Future, esperimento II
di Michele Bellantuono
Il cinema di David Cronenberg, clinico, disturbante, teso tra la lucida disamina sociale e uno sguardo rivolto all’interno, della mente e dei corpi, ha plasmato e popolato un ricco immaginario, fondato su una sensibilità culturale post-moderna. Ed è facile comprendere l’eccitamento di chi ha letto recenti notizie sulla sua prossima produzione: un film di fantascienza, intitolato Crimes of the Future. Del progetto conosciamo una prima sinossi. Siamo in un futuro prossimo e il genere umano sta entrando in stretto rapporto con la tecnologia che lo circonda. In questo scenario, negli uomini inizia a essere diagnosticata una “Sindrome dell’Evoluzione Accelerata”, che ha portato negli anni a cambiamenti nella conformazione biologica della specie. Il protagonista è un artista che ha imparato a sfruttare questa sindrome per le sue grottesche performance, basate sulla proliferazione ed esportazione di nuovi organi sviluppati in questa fase mutante. Materia bizzarra e anche abbastanza ripugnante, se proviamo a tradurla in una prima immagine mentale. Ma nulla di nuovo per gli stimatori di Cronenberg, che in buona parte avranno riconosciuto nel titolo di questo futuro film quello di uno dei primi lavori sperimentali del regista. Quel Crimes of the Future del 1970, film arthouse che immagina la diffusione di una malattia scatenata da prodotti cosmetici, costituiva (insieme al precedente Stereo) una prima ricognizione di temi destinati a diventare centrali nella sua carriera: la telepatia, il feticismo, il superamento di limiti fisiologici e sessuali.
Temi che ha analizzato approfonditamente il critico dei Cahiers du Cinéma Serge Grünberg, nei capitoli del suo brillante volume monografico dedicato al regista. Il critico descrive un Cronenberg cineasta di idee, un autore che «concepisce le idee come un “corpo” enigmatico da affrontare con il metodo della dissezione». Grünberg affronta la complessità sfaccettata della sua filmografia, soffermandosi in particolare sulla sensibilità psicologica e medico-chirurgica del regista, sul significato di immagine virale, di “nuova carne”, di macchina umana. Concetti che rimandano a una cruciale figura ispiratrice: William S. Burroughs, lo scrittore della controcultura americana di cui Cronenberg ha trasposto l’allucinato romanzo Il pasto nudo. «Un cosiddetto testo-limite, allo stesso tempo americano e universale, a metà strada tra uno Swift del Mid-West e un Kafka dei bassifondi» lo definisce Grünberg, la cui disamina gravita proprio attorno a questo imprescindibile modello del regista canadese. Del resto, tra lui e Burroughs l’affinità è evidente e può essere racchiusa in tre parole chiave: viralità, sesso e psiche. Il che si traduce in una triade tematica in cui ricorre l’immagine della malattia e del contagio (spesso in forma totale, pandemica), posta sullo sfondo di un intenso e carnale scambio tra corpo e mente, parti osservate clinicamente in questo rapporto “creativo” e mutante, che nel caso degli autori di cui parliamo si declina in immagini grottesche e metamorfiche, al centro dei body-horror cronenberghiani, da Il demone sotto la pelle fino a eXistenZ.
Psiche e corpo sono dunque entità instabili, mutevoli, estremamente reattive in un senso davvero biochimico. In questa direzione si muovono già quei primi lavori a cui accennavamo, Stereo e Crimes of the Future, precoci esperimenti registici autoprodotti, ma già pienamente coerenti con quella che sarebbe diventata una vera e propria poetica cinematografica. Protagonisti di Stereo sono ad esempio un gruppo di cavie umane dotate di ESP (percezione extrasensoriale), capacità straordinaria sulla quale è basata la trama di Scanners, in cui un esperimento farmacologico dà origine a mutanti dotati di un devastante potere psichico. Grünberg nota come il paranormale in Cronenberg non sia vissuto come devianza, ma come forma di evoluzione: il mutante è un superuomo, sintesi di «homo sapiens e homo faber». Un nuovo organismo che è in qualche modo un prodotto scientifico.
Film come Scanners ruotano infatti attorno a un’altra presenza ricorrente, quella di farmaci e droghe (costanti protagoniste di quella letteratura beat che guarda a Burroughs). Attraverso queste sostanze, il corpo muta terribilmente, mentre il cervello cade vittima di allucinazioni, distorsioni della realtà che a questo punto viene messa in dubbio nella sua stessa definizione. E Cronenberg coi suoi film ama mettere in dubbio la validità della percezione e stravolgere i punti di vista. Grünberg osserva che nel suo cinema, in film come Videodrome, Il pasto nudo, Inseparabili, «l’occhio della telecamera non è mai per lo spettatore quello di un dio che segue passo dopo passo un eroe privilegiato. Al contrario, la struttura della sceneggiatura e ancora più le immagini spingono lo spettatore all’inquietudine fondamentale del voyeur che non sa più se le peripezie a cui assiste sono “vere” […] o se l’intreccio viene da un’altra parte».
Al tema dello sguardo allucinato segue quindi la maturazione di una struttura complottistica, frutto di una visione distorta che porta a individuare, ad esempio, nel potere di multinazionali, culti e guru un bersaglio della paranoia (o esaltazione) collettiva. Come la Chiesa Catodica in Videodrome, ma troviamo i primi segni di corporazioni dai nomi suggestivi già in Crimes of the Future, in cui si parla di una Casa della Pelle (istituto di studi dermatologici), di Import-Export Metafisico e di studiosi di Podologia Oceanica. Un repertorio lessicale di stampo tecnico-scientifico, tipico di un autore la cui «forma narrativa è prossima non tanto a un intreccio quanto a una perizia medica, tesa a registrare, talvolta in maniera documentaristico-realista, l’avanzare di una malattia» (Grünberg). Nell’annunciare il suo prossimo film, Cronenberg ha spiegato che “ha degli affari in sospeso con il futuro”. Con Crimes of the Future le premesse per un altro grande film di (fanta)scienza certo non mancano, poco importa se sarà un remake.