
APRIRE TUTTO: Il Gladiatore 2 di Nick Cave
Massimo Decimo Meridio contro Gesù? Per poco non si fece per davvero
di Marco Triolo
«Esistono storie che non esistono», direbbe Maccio Capatonda nella sua infinita saggezza. Noi qui parafrasiamo e diciamo «Esistono film che (purtroppo) non esistono». Film che sono arrivati a tanto così dall’essere realizzati per davvero. Film folli, pieni di idee bislacche, fuori luogo, che avremmo assolutamente voluto vedere. A volte con la stessa morbosa passione con cui osserviamo i servizi sugli incidenti ferroviari, a volte invece perché, suvvia, meglio un film fuori da ogni grazia di Dio piuttosto dell’ennesimo prodottino perfettino nato da una presentazione in Power Point.
Tra questi progetti mai realizzati ce n’è uno, ragazzi, ce n’è uno che veramente. Che veramente. Stiamo parlando del sequel de Il Gladiatore scritto da Nick Cave. In questi giorni si sta parlando tanto de Il Gladiatore 2, perché finalmente (?) le cose hanno iniziato a muoversi davvero, Ridley Scott ha scritturato Paul Mescal e Denzel Washington e, insomma, il film si farà. Sarà un legacyquel, una parola che tanto piace oggi ai piani alti di Hollywood, con cui si designa quel genere di sequel che arrivano molti anni dopo l’originale, e in genere affiancano alle vecchie star una nuova generazione di eroi. Nello specifico, Paul Mescal sarà Lucio, figlio di Lucilla (Connie Nielsen), nipote dell’imperatore cattivo Commodo (Joaquin Phoenix) e forse figlio segreto di Massimo Decimo Meridio (Russell Crowe), mentre la vecchia star non ci sarà perché Massimo è ovviamente morto al termine del primo film. Ma questo non ha impedito a Crowe e Ridley Scott di tentare la via del sequel diretto con la resurrezione di Massimo.

Intorno al 2006, dopo svariate stesure dello script più o meno (soprattutto meno) riuscite, è lo stesso Russell Crowe ad approcciare il cantautore Nick Cave, all’epoca fresco della sua prima sceneggiatura, La proposta di John Hillcoat, per proporgli (ah ah) di scrivere Il Gladiatore 2. Crowe ha per lui una sola condizione: Massimo deve tornare in vita in qualche modo. Quello che ne esce è uno degli script più controversi e fuori di testa mai visti a Hollywood, e stiamo parlando di un posto in cui una volta qualcuno ha deciso che Gengis Khan lo avrebbe interpretato John Wayne.
La sceneggiatura, reperibile online, si apre subito dopo gli eventi del primo film: Massimo è morto, ma, anziché tra i campi dell’Elisio da lui sognati nei suoi ultimi istanti, si ritrova in Purgatorio, un postaccio in cui piove sempre e un tizio col trench “pensiona” vecchi replic– ah no, scusate. Dicevamo, un postaccio in cui piove sempre, homo homini lupus e le anime si contorcono nella sofferenza in attesa di passare da una parte o dall’altra. Guidato dal misterioso Mordecai, Massimo viene portato al cospetto degli dei, Giove, Marte e compagnia cantante, i quali gli rivelano di stare morendo. Tutto per colpa di Haphaestos, un tizio che se ne va in giro a predicare l’esistenza di un unico Dio, ha raccolto un discreto seguito e sta drenando il loro potere. La proposta indecente: ammazzaci Haphaestos e ti faremo riunire con moglie e figlio.
Massimo accetta e viene resuscitato, anni dopo la sua morte, a Lione, dove fuoriesce letteralmente dal corpo di un cristiano morente, nel mezzo di un massacro compiuto dai romani. Da lì procede a raggiungere Roma, dove ritrova l’amico Juba (Djimon Hounsou) e, ironicamente, si scontra proprio con Lucio, cresciuto e diventato cattivo come lo zio. Quando, infine, riesce a trovare e uccidere Haphaestos, scopre di essere stato brutalmente ingannato: egli è in realtà suo figlio! E qui arriva il meglio: condannato a vivere per sempre dopo questo tremendo misfatto, Massimo attraversa i secoli; combatte nelle Crociate, nella Seconda Guerra Mondiale, in Vietnam. Alla fine, lo ritroviamo al Pentagono, ai giorni nostri, un uomo destinato alla guerra, per sempre, incapace di ritrovare i suoi cari.

Lo script, intitolato ufficiosamente Gladiator 2: Christ Killer, giusto per toccarla piano, baratta così il realismo (si fa per dire) del film originale con una visione totalmente fantasy, che apre tutto in un finale senza freni. Russell Crowe, che, lo ricordiamo, era stato quello che aveva proposto il lavoro a Nick Cave e aveva richiesto la resurrezione di Massimo, lo legge e risponde con un laconico «Don’t like it, mate», e la cosa finisce lì. E questo nonostante Ridley Scott ci avesse pure provato a mettere in moto il film, convinto che in quell’idea bizzarra anziché no si nascondesse comunque qualcosa di buono.
Ora, a Ridley Scott possiamo dire di tutto – e forse prossimamente lo faremo – ma non certo che non abbia il coraggio di esplorare territori ai confini del ridicolo con la faccia seria di chi lo sa, e ci crede lo stesso. Ridley Scott, a 85 anni, è l’equivalente di quel vostro zio a cui non frega veramente più nulla e dice la prima cosa che gli passa per la mente. Potenzialmente, una roba del genere tra le sue mani avrebbe potuto diventare qualcosa di memorabile, nel bene e nel male. Sicuramente più del timido legacyquel che, quasi certamente, non farà altro che riproporre la stessa identica trama dell’originale, con l’unica differenza che Paul Mescal ha veramente la faccia (e il naso) da antico romano. E vincerà comunque gli Oscar.