Lynch oltre l’arcobaleno

L’influenza del Mago di Oz sul regista di Missoula

di Greta Calaciura

 

YouTube pullula di video dell’iconico regista David Lynch: tra conferenze stampa in cui discute i suoi film, senza mai rivelare più di quello che questi già mostrano, interviste in cui parla di meditazione trascendentale, a cui è molto devoto, il suo bollettino meteo giornaliero e una quantità infinita di video che raccolgo i suoi momenti migliori (come il bellissimo video “David Lynch being a madman for a relentless 8 minutes and 30 seconds”), il materiale disponibile sul regista sembra non finire mai, così come l’interesse nei suoi confronti.

Questi video permettono di sbirciare all’interno della sua mente ed evidenziano l’opposizione tra l’oscurità dei suoi film e la sua personalità radiosa, come la clip che vede Lynch al New York Film Festival nel 2001, dopo la proiezione di Mulholland Drive, rispondere a una domanda sul film cult del 1939 Il mago di Oz con la frase «non passa giorno senza che io pensi a Il mago di Oz». Questa breve clip potrebbe bastare per affermare l’esistenza di una connessione tra il regista e il film Il mago di Oz, ma il documentario Lynch/Oz di Alexandre O. Philippe va molto oltre. Composto da sei capitoli raccontati da sei cineasti – Rodney Ascher, John Waters, Karyn Kusama, Justin Benson, Aaron Moorhead e David Lowery – e la critica Amy Nicholson, il documentario esamina il rapporto tra Lynch e il film del ’39.

In quell’anno, Victor Fleming riuscì a firmare sia la regia di Via col vento che di Il mago di Oz, grazie al fatto che fu solo l’ultimo di cinque registi a lavorare al progetto di Oz (dopo George Cukor, Mervyn LeRoy, Norman Taurog e King Vidor) e il girato fu rivisto più volte. Pur essendo stato acclamato dalla critica all’uscita, il film in technicolor non conquistò subito gli americani, fu solo quando sbarcò in televisione che tutti lo videro. Da quel momento il film entrò nell’immaginario collettivo degli americani: le scarpette rosse della protagonista Dorothy, le frasi celebri «nessun posto è bello come casa mia»[1] e «non siamo più in Kansas»[2], come la canzone Over the Rainbow, divennero dei veri e propri simboli, ancora oggi raccontati e re-interpretati.

Nel 1939 Lynch aveva solo sette anni, ma, come il documentario rivela, la visione del film influenzò profondamente la sua vita e carriera. La particolarità dei capitoli di Lynch/Oz risiede nel metodo e mezzo di analisi utilizzato, chiamato video essay. Un video essay è un prodotto video che, come un saggio, approfondisce un argomento, ma, a differenza di un saggio, utilizza la struttura e il linguaggio cinematografico per supportare il ragionamento. Attraverso tecniche di montaggio come lo split screen, la successione e l’alternanza di immagini, gli autori combinano in maniera significativa le inquadrature per mostrare come l’iconografia di Oz abbia influenzato un’infinità di registi e prodotti audiovisivi. Le voci dei personaggi nei film si fondono con la narrazione dei capitoli, completandosi le frasi a vicenda in un gioco di montaggio che incornicia i contenuti.

[1]«There’s no place like home»

[2]«We’re not in Kansas anymore»

Nati nel mondo accademico e resi popolari sulle piattaforme YouTube e Vimeo, i video essay hanno una struttura che può risultare inizialmente artificiosa per l’utilizzo di una narrazione “sceneggiata”, ma si rivelano molto coinvolgenti. Alcuni dei capitoli di Lynch/Oz si allontanano infatti dall’argomentazione tipica dei saggi, dando spazio alle vite personali degli autori, le quali aggiungono un’ulteriore dimensione al racconto. John Waters, regista di Pink Flamingos, nato lo stesso anno di Lynch, racconta nel suo capitolo la loro relazione personale e lavorativa, dal primo incontro fino a paragonare il modo in cui i loro film hanno riflettuto sull’America. Gli anni 50 e 60 raccontati dai due iconici registi, hanno dato voce ai segreti dell’epoca e alla contrapposizione tra l’illusione del sogno americano e la realtà. David Lowery, regista di A Ghost Story, dedica invece il suo capitolo all’idea che tutti i registi abbiano dei riferimenti così profondi da essere diventati parte del loro subconscio, come per Lynch il film di Fleming e, per se stesso, Steven Spielberg.

L’obiettivo del documentario rimane però quello di evidenziare i collegamenti tra Oz e i film di Lynch, sottolineando più volte come il magico mondo di Fleming sia pieno di creature cattive e il surrealismo di Lynch sia fondato su sogni e incubi. Cuore selvaggio è il film di Lynch che cita in maniera più esplicita Il mago di Oz, con perfino l’apparizione di una strega buona in una bolla rosa (interpretata dall’attrice Sheryl Lee, la Laura Palmer di Twin Peaks), ma molti altri elementi sono presenti nei film di Lynch. Le ricorrenti scarpe rosse e tende di velluto, particolarmente presenti in Velluto blu, Mulholland Drive e Twin Peaks, il nome Judy (dall’attrice Judy Garland che interpreta Dorothy) fondamentale in Twin Peaks e Fuoco cammina con me, la prateria dell’Iowa di Una storia vera e il vento che soffia dove non dovrebbe esserci vento.

Detto ciò, la bellezza di Lynch/Oz sta nel fatto che, per quanto sia dettagliata e profonda l’esplorazione dell’immaginario del regista, il film non cerca di dare una spiegazione alla sua creatività. Difatti è importante ricordarsi che, come dice Waters, David è andato oltre l’arcobaleno già dal suo primo film, vive in una realtà diversa da quella in cui viviamo noi.