Autostrade d’autore parte II
Il gene(re) A24
di Michele Bellantuono
Nel precedente articolo a cura di Francesco Lughezzani (di cui questo vuole essere un sequel) ci raccontava la nascita e crescita di una casa di produzione e distribuzione americana inclusa oggi tra i brand più di moda dell’industria del cinema, hollywoodiana e non solo. La storia della A24, evolutasi rapidamente in una macchina da Oscar amata morbosamente da critici e pubblico, è oggi un caso studio estremamente interessante e peculiare. Da una cura straordinaria delle strategie interne di marketing (che includono l’affidarsi a una rosa ben selezionata di agenzie esterne per la creazione dei trailer, tra le tante) e da una capacità di investimento in progetti d’autore, soggetti a rischio più alto, è derivato un successo che non ha eguali in tempi recenti, origine di un vero e proprio cult following, per dirlo all’americana (e per una strizzata d’occhio a uno degli autori di punta della A24, Ari Aster, intenditore di culti e affini dopo due horror come Hereditary e Midsommar).
Possiamo in effetti parlare di fenomeno, più che di un semplice modello di successo. Ed è ancora una volta il web a fornirci i più interessanti spunti di riflessione sulla natura di questo “culto”. Entriamo nel portale di Reddit, il popolare forum online di discussione, iniziando a fare una ricerca per parola chiave, a caccia della natura di questo A24 vibe o A24 style (e dopo aver accettato anche accademicamente la nascita di un “genere Sundance”, parliamo ora di un “genere A24”). Commentiamo qui alcuni risultati, tra titoli di dibattiti aperti, domande, risposte, spassionati atti di amore, liste e (immancabili) classifiche.
Partendo da una panoramica dell’intero catalogo, sembrano tutti concordare su alcuni aspetti del tipico film A24, che un utente riassume così: «di regista arthouse, con soggetto originale, senso dell’estetica della ripresa, attenzione alla recitazione». Quasi tutti parlano di opere «esteticamente meravigliose», thought-provoking (che stimolano il pensiero), «uniche». Qualcuno semplicemente scrive: good flicks, buoni film. Riguardo i trailer, che raccolgono apprezzamenti nella sezione commenti di YouTube (in assoluta controtendenza), si osserva che trasmettono in media o «un vago senso di malinconia», oppure «un terrore esistenziale». Ed è impossibile non soffermarsi su quest’ultimo punto, nella ricerca di uno stile A24: nel senso che non si può prescindere da uno dei generi che ha accompagnato la casa di produzione sulla strada del successo, l’horror. In catalogo troviamo film quali i due già citati (firmati Aster), Under the Skin, The Witch, The Lighthouse, Men, Lamb (approdato anche nella nostra sala virtuale), It Comes at Night, Pearl.
Alla A24 sono associati film caratterizzati da un approccio autoriale al genere dell’orrore (si parlava appunto di elevated horror), che prevede ibridazioni con altri generi (fantascienza, thriller), un totale rifiuto di soluzioni stilistiche da prodotto commerciale, in favore di una cura della sceneggiatura, che presenta caratteristiche di originalità rifacendosi alla più raffinata tradizione del cinema horror (al sottogenere folk, in modo particolare). Anche in questo caso gli utenti notano una generale cura della cinematografia e del processo di color grading, che stimola la creazione di accattivanti cartelloni di inquadrature, molto diffuse su Internet e utili per chi lavora nel campo della post-produzione dell’immagine, in ambito fotografico o video: intere librerie di screenshot, ricavati da film A24, sono disponibili su piattaforme social, come Pinterest o Instagram, come riferimenti visivi per prendere ispirazione e ricostruire una certa atmosfera (e di questo parliamo quando commentiamo l’indefinibile A24 vibe), attraverso la modifica di gamma cromatica, contrasto, saturazione. Spostandoci dal grande schermo alla serialità, capiamo sicuramente quanto si possa prestare a una funzione simile un prodotto come Euphoria, in cui è forse quasi più lo stile a identificare la specificità (e a definire la qualità) di un teen drama destinato ad avere più risonanza tra i fan della A24 che non tra gli stessi adolescenti. Molte immagini di Euphoria, dunque, non attendono altro che di essere inserite nelle nostre griglie di Instagram.
Tornando alle nostre discussioni su Reddit, notiamo che il dibattito si è spostato in un campo nuovo. Non si parla più solo di cosa sia e che caratteristiche abbia un “film A24”; bensì cosa lo sembri, pur non essendolo effettivamente. È il concetto che coinvolge attivamente gruppi Facebook come Not A24, but…, ma che ha interessato la stessa stampa specializzata, come la rivista online Collider. In un loro articolo pubblicato a inizio anno si propone una lista di 15 film classificati come «more A24 than A24». Tra i titoli, troviamo Mandy (associato per la cinematografia satura, il senso di mistero, i richiami al folk horror), The Neon Demon (tutto il recente cinema di Refn pare rientrare nel vibe estetico A24), Her (fantascienza raffinata che indaga l’umano tanto quanto la macchina), It Follows (il successivo film del regista Mitchell è in effetti prodotto dalla A24), Raw (soggetto audace affrontato con spirito autoriale, con musica e stile registico accattivante).
Questo sembra un perfetto punto di arrivo della nostra riflessione. Alla ricerca di una formula segreta sintetizzata dai geni del marketing di questa giovane casa di produzione indipendente, siamo giunti allo sconfinamento stesso del mito, alla definizione di un immaginario che non ha più bisogno di segni distintivi, ma che ormai vive una propria vita, generando un mercato e una fanbase e assumendo una forma i cui lineamenti, un cult dopo l’altro, continuano ad affascinarci e a farci sperare nel costante progresso di una “Nuova Hollywood, capitolo secondo”.