DUNE
Storia di un meraviglioso disastro
di Davide Fina
Alcuni film rimangono nella storia per aver rivoluzionato il cinema, molti capolavori passano inosservati per gli schiaccianti colossal monumentali, infine ci sono certi film che grazie ai loro flop rimangono scolpiti nel granito. Il chiodo fisso di Lynch: Dune (1984) è suo malgrado uno di questi. Nonostante il grande supporto economico, nonostante gli oltre 70 set cinematografici a disposizione e più di 1700 operatori, Dune è diventato il più grande fallimento tra i cult movie. Ma come ha fatto l’opera di Lynch, ispirata a uno dei romanzi più acclamato del secolo scorso, a diventare cult pur fallendo?
Partiamo dalle basi. Il romanzo omonimo di Frank Herbert, pubblicato nel 1965, ha riscosso da subito un grande successo dal pubblico e dalla critica, rivoluzionando la concezione del genere fantascientifico nella letteratura e nel cinema, ciononostante per molto tempo è stato considerato inadatto al grande schermo per la sua durata. Sono stati vari i tentativi, tutti fallimentari: Alejandro Jodorowsky aveva già provato negli anni ’70 a proporre una trasposizione cinematografica con gli eccentrici Orson Wells, Salvador Dalì e Mick Jagger come attori, e rincarò la dose con gli psichedelici Pink Floyd per la composizione della colonna sonora. Ovviamente nessuna produzione hollywoodiana si cimentò alla realizzazione di questo film.

Chi ha rischiato, fallendo miseramente, è stato il produttore Dino De Laurentiis, insieme alla figlia Raffaella, che dopo il successo di Star Wars (1977), prodotto dalla Lucasfilm, decide di comprare i diritti del romanzo di Herbert e portare al cinema Dune, con un giovane David Lynch fresco di Eraserhead (1977) e The Elephant Man (1980). Le prime disavventure iniziano già nel 1976 con l’acquisizione di diritti cinematografici. Lynch infatti non è la prima scelta, Dino De Laurentiis affida inizialmente la sceneggiatura a Herbert, che propone un lungometraggio di 5 ore, chiama Rudy Wurlitzer per accorciarla, proponendo cambiamenti drastici, inaccettabili da Herbert. I dissidi fanno cadere il progetto. Ci riprova con Ridley Scott che rifiuterà per dedicarsi alla regia di Blade Runner (1982). Ormai verso la scadenza dei diritti, De Laurentiis decide di ricucire i rapporti con Herbert e affida finalmente la regia a David Lynch che, dopo aver lavorato alla sceneggiatura, nel 1983 inizia le riprese con un budget faraonico di 40 milioni di dollari.
Il rapporto tra Lynch e De Laurentiis è travagliato, da un lato abbiamo un giovane regista davanti alla sua prima grande esperienza nel mondo dei grandi, dall’altra parte un produttore veterano ben noto per non lasciare libertà ai suoi registi. Da una parte Lynch non aveva mai fatto film fantascientifici, dall’altra parte De Laurentiis non avrebbe certo supportato esperimenti e fusioni stilistiche, specialmente dopo aver speso 40 milioni. Gli obiettivi erano diversi: la produzione voleva il nuovo “guerre stellari” mentre Lynch ambiva ad altro. Di Dune il regista dice «Mettendomi sulla sceneggiatura di Dune mi sono preoccupato di non fare un’operazione alla George Lucas. Dune può piacere più o meno, ma non è Guerre Stellari, non riduce nella parola Forza la complessità filosofica della pagina scritta, non cerca la complicità infantile. Non dimenticate, in proposito, le parole di Frank Herbert: Dune è un libro sull’Impulso messianico della società, un apologo sulla tendenza della natura umana a seguire leaders carismatici senza sapere chi siano veramente».

Il risultato è un lungometraggio di tre ore, successivamente ridotto dalla produzione a due, per riassumere il primo romanzo, che riuscirà a stento a incassare 30 milioni. Ne risulta un film lento a telecamera fissa, che da una parte premia lo studio delle arti visive di Lynch le cui immagini rimandano ai quadri surrealisti; dall’altra rendono statiche e improbabili le scene d’azione, lasciando lo spettatore impassibile e disinteressato. Specialmente dopo le iconiche scene d’azione di Star Wars, costernate da un costante senso di movimento. La recitazione è teatrale, non esiste il “non-detto”, la trama è esposta chiaramente tramite i riassunti dalla voce narrante e dei personaggi. Non bastano due ore per riassumere Dune (come capì successivamente Denis Villeneuve). L’esito è un racconto sbrigativo e raffazzonato che non lascia il tempo di empatizzare con i personaggi. Si salva a pieno titolo la scenografia, fatta di palazzi futuristici che fondono lo stile barocco con quello moderno. Così come lo steampunk, che domina le sequenze della casata Harkonnen, e i costumi utilizzati che rievocano le influenze storiche del romanzo di Herbert richiamando i conflitti che caratterizzarono le rivolte arabe. Ciononostante, non bastò la scenografia a salvare il film che verrà bocciato dalla critica e dal pubblico, diventando il flop che noi tutti oggi conosciamo.
Cosa ne traiamo da questo meraviglioso disastro? Che anche i più grandi possono sbagliare e un brutto film non può finire una carriera. Dopo Dune, Lynch tornerà al cinema con Velluto Blu (1986) finalmente consapevole delle sue abilità e con un grande monito «Non fare mai un film se non può essere il film che vuoi fare».