Mostri e mostre

La Frankenstein femminista di Poor Things

di Greta Calaciura e Simone Coghi

 

Alla Mostra del Cinema di Venezia, c’è un angolo funesto dove rabbie e frustrazioni dei partecipanti al festival trovano libero sfogo. Si tratta di una serie di pannelli, dal provocatorio titolo “Ridateci i soldi”, dove chiunque può lasciare una stroncatura di questo o quel film. Nessuna pellicola solitamente si salva dall’ira lapidaria degli spettatori, ma ce n’è una di cui quest’anno, in modo significativo, non si è trovata traccia: Poor Things di Yorgos Lanthimos – regista greco noto per film come Dogtooth, The Lobster e La favorita – sembra aver messo d’accordo tutti. Il film lascia Venezia trionfante con il Leone d’oro, universalmente acclamato dalla critica e probabilmente sulla strada lastricata verso gli Oscar.

Il film fa uso di un espediente narrativo piuttosto tradizionale, secondo cui la protagonista viene trasportata in un mondo sconosciuto e deve imparare le regole sottese che lo dominano. Nella cultura pop nipponica l’escamotage è diventato talmente comune da diventare un genere a parte, conosciuto come isekai – di cui un esempio celebre è La città incantata di Hayao Miyazaki – ma l’artificio è altrettanto comune in occidente, dove per esempio Alice nel Paese delle Meraviglie può essere citato come precursore del genere. Lanthimos però rovescia l’espediente: il mondo misterioso da scoprire è il nostro, e le regole sottese che lo dominano sono quelle del patriarcato.

Poor Things racconta la vita di Bella, incarnata splendidamente da Emma Stone, in una reinterpretazione al femminile e femminista del mito di Frankenstein. Dopo essere stata riportata in vita dallo scienziato e futuro padre da lei chiamato Dio, anche detto Dr. Godwin Baxter, anche detto Willem Dafoe, la “creatura” si avventura nel mondo alla ricerca di indipendenza. A differenza del mostro di Frankenstein, il sublime e diverso che Bella incarna non causano terrore in quelli che la incontrano, anzi. Tutti gli uomini che conosce sono attratti dai suoi modi insoliti e desiderano tenerla stretta, motivo che guida la narrazione e l’ideologia del film.

Bella è come una bambina nel corpo di un’adulta, e lo stratagemma si presta benissimo a usare i suoi incontri come vignette morali per illustrare il “femminismo for dummies”. Bella si muove per il mondo con la curiosità insaziabile tipica dell’infanzia e, mentre scopre il patriarcato, noi lo (ri)scopriamo insieme a lei. Come una bambina, però, Bella non ha censure: il suo desiderio sessuale è liberamente espresso, e ogni paradosso del patriarcato è messo a nudo senza pietà (quanto è debole un essere il cui organo sessuale non gli consente di provare orgasmi a volontà?). La possessività maschile e la sottomissione sessuale femminile vengono contrastate dalla genuinità di Bella, che con naturalezza continua imperterrita a sottrarsi da qualunque tentativo di controllo. Dopo un primo momento puramente edonista, in cui Bella sviluppa gli stimoli fisici e scopre i piaceri della vita, inizia il suo percorso di maturazione e presa di coscienza. L’ingenuità lascia spazio alla consapevolezza, senza però che Bella perda la sua visione del mondo non contaminata da sovrastrutture ideologiche.


Bella spiazza i suoi interlocutori con critiche puntuali e la sua visione schietta della vita costantemente prende in giro le strutture sociali, palesandole nella loro ridicolezza. Il risultato è un film che riesce a suscitare risate in sala, divertendo il pubblico mentre al contempo smaschera le radici del patriarcato. L’evidente desiderio di leggerezza si traduce anche nell’apprezzatissima scelta di non fare mai della donna una vittima, forse perché, visto che già l’immaginario collettivo è stato saturato di scenari peggiori, quelli che rimangono da scoprire sono quelli migliori.


A enfatizzare la favola gotica vittoriana di Bella è l’uso espressivo della forma cinematografica, una costante dei film di Lanthimos, tradotta ogni volta in un modo inedito. Il film inizia in una Londra bizzarra, fotografata in bianco e nero con lenti fish-eye che enfatizzano un senso di prigionia e di horror vittoriano. Tuttavia, una volta che Bella intraprende il suo viaggio, il film esplode di colori brillanti e luoghi surreali, che riflettono lo sguardo e la complessità emotiva della protagonista.

Grazie agli stratagemmi narrativi, la straordinaria performance attoriale dei vari interpreti (tra cui un ottimo Mark Ruffalo) e una forma bizzarra e accattivante, Lanthimos confeziona un film che sembra adatto a tutti i palati. Everything Everywhere All at Once l’anno scorso ci ha insegnato che esiste un pubblico per i “blockbuster d’autore”, e Poor Things dà l’idea di volersi inserire in questo stesso filone. Dando ai cinefili pane per i loro denti, Lanthimos sembra comunque volersi rivolgere al grande pubblico – soprattutto considerato il tono didattico, a tratti didascalico, del film. Il mondo di Poor Things è quanto di più lontano dal nostro, eppure riesce a spiegarcelo con limpidezza. La naïveté di Bella aiuta a prendere per mano lo spettatore più ottuso, senza bisogno di sovraccaricarlo con gli spiegoni eccessivamente pedanti che, con tutte le buone intenzioni, ci ha rifilato Barbie questa estate. Lanthimos utilizza acutamente il distacco che la “creatura” ha dalle cose che caratterizzano questo mondo, per rifiutarle e criticarle apertamente, creando un racconto tanto stravagante quanto realistico, ma soprattutto speranzoso, nonostante tutto.