
CANE O MITO? – IL MANZO E L’UOMO: JASON MOMOA
Di birre, tomahawk, barbe e pacchi di carisma
di Marco Triolo
Tema: descrivi Jason Momoa in una frase. Svolgimento: «Ciao, sono Jason Momoa. Mi piace la birra e lanciare tomahawk». È il 2016 e la star di Justice League e Dune sta girando la serie Frontiera. È già diventato famoso grazie al (breve ma intenso) ruolo di Khal Drogo in Game of Thrones, ma non è ancora famosissimo e Justice League e Dune devono ancora uscire. Improvvisamente, però, diventa un personaggio, diventa JASON MOMOA, tutto maiuscolo: gli basta un video virale in cui lancia un’ascia dopo aver sorseggiato una birra – con la schiuma che ancora indugia sulla sua folta barba come rugiada in una fresca mattina di primavera – facendo perfettamente centro con la nonchalance del consumato guerriero Dothraki.
Hollywood prende nota. Fino a quel momento, Momoa ha interpretato ruoli vari da manzo, tra cui Baywatch e Stargate Atlantis, e nel 2011 ha tentato il salto ereditando da Arnold Schwarzenegger il ruolo di Conan in un brutto film diretto da una persona il cui nome speravo di non dover mai più pronunciare: Marcus Nispel. Momoa è perfetto: grosso, magnetico, dotato di un carisma naturale che si presta perfettamente al barbaro di Robert E. Howard, che incarna in maniera molto più fedele rispetto all’onorevole Arnold. Non è sua la colpa del fallimento del film (non è nemmeno tutta di Nispel, ma almeno un po’ sì), eppure Jason rischia di pagarlo a caro prezzo. Per fortuna arriva l’assist di Game of Thrones, ma da qualche parte c’è un universo parallelo in cui Conan the Barbarian ha avuto successo e Momoa ne ha girati altri ventisette, prima di interpretare Superman (altro che Aquaman) e il presidente degli Stati Uniti in un blockbuster diretto da James Cameron. Nel nostro, di universo, Momoa deve attendere ancora qualche anno, e passare attraverso piccoli ruoli in, tra gli altri, Jimmy Bobo – Bullet to the Head di Walter Hill e The Bad Batch di Ana Lily Amirpour, prima di ritrovare la cazzimma da protagonista.
Nel frattempo, però, è successa quella cosa della birra e del tomahawk e, da quel momento, il Jason Momoa privato e quello pubblico hanno smesso di esistere come entità distinte. Da quel momento, agli occhi di fan e produttori, Jason si è fatto indistinguibile dai giandoni barbuti e gradassi che interpreta sullo schermo. Questo porta con sé un vantaggio e uno svantaggio: da un lato, Momoa entra in un club molto esclusivo a Hollywood, quello degli attori capaci di influenzare la forma di un progetto. Aquaman non assomiglia per niente a lui nei fumetti, mentre al cinema è un film su di lui, al punto da non chiedergli di cambiare il suo aspetto di una virgola. Lo stesso vale per Fast X, in cui la personalità debordante e sopra le righe del cattivo “Dante” è quella di Momoa. Non è più un caso di «scriviamo un certo tipo di personaggio e poi scegliamo l’attore adatto», quanto di «voglio Jason Momoa per il mio film, come ce lo incastro?». Lui, a un certo punto, ha anche imparato a sfruttare la cosa a suo vantaggio per farsi finanziare progetti a cui teneva, come la serie post-apocalittica See e la miniserie Chief of War, sulla storia dell’unificazione delle Hawaii. Ci sono eccezioni, ad esempio il già citato Dune, dove effettivamente il personaggio di Duncan Idaho sembrava scritto apposta per lui (che, guarda caso, in quel film è senza barba), ma la tendenza è quella. Ed ecco che arriva lo svantaggio: questa roba la puoi cavalcare per qualche anno, ma alla fine ti porta al typecasting, e auguri poi a uscirne.
Specialmente se sei Jason Momoa e non, che ne so, Peter Falk: Jason non è un attore di sfumature, ma di carisma. Ha trovato la strada giusta, cucita su misura per lui, ci si è giustamente fiondato e in essa funziona alla grande. Un giorno, però, forse dovrà uscirne – quando non avrà più l’età per certi ruoli o quando certi ruoli non saranno più di moda – e allora saranno dolori. Se gli andrà bene, troverà un regista che lo usi come Benny Safdie ha usato The Rock in The Smashing Machine. Se gli andrà male, potrebbe finire nel direct-to-video come un Eric Roberts qualunque.
Per ora, comunque, il Jason se la passa alla grande e dimostra ancora una volta una cosa di cui abbiamo già discusso in questa rubrica: che, al cinema, non è sempre indispensabile essere degli interpreti raffinati e duttili, perché dove finisce la bravura può iniziare il carisma. Momoa ne ha a pacchi, ma non la sua unica qualità: potrà anche essere il triplo di te, ma Jason è uno come te, un ragazzo normale che ha fatto successo. Abbastanza intelligente da non avere pretese di cambiare nessuna gerarchia nel mondo del cinema, tanto per paragonarlo ancora una volta a Dwayne Johnson e le sue sparate dal set di Black Adam. Lo abbiamo visto tutti arringare le folle al concerto di addio di Ozzy Osbourne, per poi non resistere e lanciarsi nel pogo durante il set dei Pantera, in mezzo a tutti, senza guardie del corpo. È questo Jason Momoa in breve: uno a posto, che piace alla gente e a cui piace la gente. Un compagnone che ama bere birra e lanciare tomahawk.
