L’HORROR È ANALOGICO

Attraverso la scoperta dell’analog horror

di Davide Fina

Che cos’è l’orrore? Sta nelle storie dei fantasmi? Nelle invasioni aliene o in qualche rito pagano andato male? L’orrore è nel quotidiano. L’orrore è in ciò che più rispecchia la nostra percezione, salvo tradirsi sfasando la realtà. Come un sogno si tradisce per le sue incoerenze temporali e spaziali, anche l’orrore si manifesta macchiando la nostra quotidianità. L’horror è disagio prima di tutto psicologico, poi spaziale e infine visivo. L’avevamo capito negli anni ’80 con i finiti found footage, come Cannibal Holocaust di Ruggero Deodato fino al più famoso The Blair Witch Project (1999) di Eduardo Sanchez e Daniel Myrick a fine anni ’90. Oggi il patrimonio del finto found footage, del finto documentario, spetta al web, il nostro odierno paese dei balocchi, dove tutto è possibile: sogni, menzogne, incubi appunto.

«Su Internet, nessuno sa che sei un cane!» Tutti possono raccontare tutto, possono esprimere la propria opinione e giocare a chi la spara più grossa. L’evoluzione dell’horror online ha caratteristiche quasi preadolescenziali, con leggende metropolitane e racconti dell’orrore riportate sui vari forum, attraverso il fenomeno delle creepypasta (dalla fusione di creepy, raccapricciante; e pasta, da copypasta, l’azione di copiare e incollare un testo dal computer) dei primi anni 2000. Racconti horror ancora acerbi, immaturi, ma che facevano della riproduzione massiccia la propria caratteristica, venendo condivisi, copiati, aggiornati e reinterpretati. Tanto più il testo circolava, tanta più legittimità acquisiva, non importa se le informazioni erano inesatte o addirittura false, perché nel mondo dei balocchi nessuno è responsabile di ciò che fa.

Nella crisi dell’horror come possiamo convincere i nostri spettatori? Ciò che distingue lo spettatore online da quello tradizionale è la ricerca della verità: più il contenuto è rudimentale, più è amatoriale; più è amatoriale, più è vero. La sospensione dell’incredulità sul web si manifesta dapprima con la povertà degli strumenti e solo successivamente dal montaggio narrativo. Se il digitale è colmo di bugie, possiamo solo rifugiarci nei ricordi di infanzia, nella nostalgia, in vecchie registrazioni VHS e nell’home video. In una parola: nell’analogico.

Nel 2020 iniziano a diffondersi gli analog horror: corti del web costituiti da finti frammenti che possono essere servizi televisivi, registrazioni, conversazioni telefoniche. L’analog horror lavora sulla teoria della Valle perturbante. La teoria dell’ingegnere nipponico Masahiro Mori mostra come di fronte all’estremo realismo di oggetto simulato, non essendo concretamente reale, lo spettatore prova repulsione e inquietudine. Il volto di un clown per esempio ci porta in un limbo tra il familiare (il volto di una persona) e l’estraneità (il trucco dei pagliacci).

L’opera che ha fatto conoscere al pubblico l’analog horror e che consiglio per i neofiti è la web series The Mandela Catalogue (2021), del filmaker statunitense Alex Kister. Kister pubblica il primo episodio su YouTube il 10 giugno del 2021 ed è ancora oggi in produzione, per un totale di 5 stagioni, 30 episodi e circa 60 milioni di visualizzazioni complessive, portando molti altri giovani filmaker a interessarsi al genere.

La storia si svolge nella fittizia contea di Mandela, in Wisconsin, tra i primi anni ’90 fino ai giorni nostri, vittima di un’insolita quarantena. In questa realtà distopica la contea di Mandela, è vittima di un’invasione di Doppelgänger, detti Alternati, delle sottospecie di nostri sosia, simili a noi se non per qualche anomalia fisica, che si insinuano nelle case delle vittime e cercando di sostituirsi a loro. Il racconto, dai toni estremamente lynchiani, viene narrato con video brevi dai 2 ai 7 minuti attraverso le registrazioni delle telefonante delle vittime, filmati VHS rinvenuti e gli E.A.S, Episodi di Apprendimento Simulato: trasmissioni di emergenza della polizia locale di Mandela. Kister, attraverso questi stratagemmi narrativi e alla distorsione delle immagini e dei volti, riesce a conquistare la nostra attenzione, ci incuriosisce e ci trasporta completamente dentro la storia.

La serie parla di personaggi solitari, rinchiusi nelle mura di casa e tendenti all’asocialità. Riporta il grande senso di disagio e smarrimento che abbiamo provato durante la quarantena, ci mette davanti all’ignoto e ci abbandona ai dubbi, le paranoie e alle nostre paure più profonde. Questa paura viene esasperata mostrando un’alternativa visibilmente più inquietante del virus: un altro noi, desideroso di sopraffarci e farci sprofondare nella rassegnazione. La distorsione dei volti, la scelta di scenografie spoglie e inquadrature fisse, come le telecamere di sicurezza che danno ad appartamenti vuoti, suscitano immediatamente un senso di allerta nello spettatore trasportandoci così nella già citata Valle perturbante, un luogo sconosciuto e inesplorato dove vorremmo solo trovare la via di fuga.

The Mandela Catalogue riesce nel suo intento suscitando nello spettatore un costante senso di impotenza e terrore, vi garantisco che durante la visione distoglierete lo sguardo ripetutamente per controllare se dietro la porta socchiusa, nella stanza buia di fianco la vostra o fuori dalla finestra, non si nasconda un’insolita presenza in attesa di un vostro passo falso.