TOP HAT – LOVE, ANGER, DEPRESSION AND ZEPPELIN

Jeff Buckley on screen

di Marika Zandanel

And Zeppelin. Jeff Buckley risponde con un nome preciso a chi chiede quali siano stati i suoi punti di riferimento, prendendosi il tempo di ripetere anche la domanda di chi lo intervista, quel tempo che è quasi una prassi in It’s Never Over, Jeff Buckley, documentario faticosamente (quasi vent’anni per ottenere accesso agli archivi del cantante) messo insieme dalla regista Amy Berg. 

People who remembered my father? Next question.  Ho avuto la possibilità di vedere il documentario al Sequoia Theater, un cinema caldo della Mill Valley che sembra una torta, nulla di direttamente riconducibile a Buckley, ma ero in California e questo è bastato a farmi fantasticare su quanto potesse risuonare la voce di un ragazzo dell’Orange County. Fare della propria voce un tempio non è cosa da tutti, forse è stata cosa solo sua farci assistere a dei live in cui ci sembra di vedere qualcuno che parla da solo, in continuo dialogo con sé stesso, in uno stato di grazia (nessun disco è stato immaginato a caso, per l’appunto). Quell’attitudine di ripetere la domanda e darsi la risposta, si trasfigurava in musica perfettamente, dando la sensazione di una completa autonomia, forse nemmeno la necessità di avere più un pubblico a chi lo stesse ascoltando e la sensazione di assistervi davvero a chi, come me, non l’ha mai potuto ascoltare dal vivo.

Perché il 29 maggio del 1997 Jeff Buckley si è immerso nel Wolf River (Memphis, Tennesse) e da lì non c’è mai più stato, c’erano con lui forse i Led Zeppelin con la leggenda che tutti conosciamo e che lo vede sussurrare Whole Lotta Love sparendo nei flutti. It’s Never Over non specula su questo, su quanto si sia detto (di tutto) sulla morte, sul rapporto con le dipendenze, sul rapporto col padre, ma ragiona sul ragazzo che rispondeva a sé stesso, sull’unica cosa che conta e che rimane, ovvero la sua voce. E non intendo soltanto la voce cantata di cui è riduttivo riproporre l’estasi, intendo soprattutto quella parlata: un insieme di registrazioni inedite che danno una carezza a Jeff Buckley in quanto essere umano pieno di contraddizioni e sfumature, quel ragazzo che odiava essere paragonato al padre, ma che parlava di Tim Buckley appena chiacchierava con qualcuno di nuovo. 

Amy Berg è riuscita a radunare del materiale ricchissimo, seguendo la forma classica della narrazione attraverso i racconti di chi l’ha conosciuto (la madre Mary Guibert, le compagne Rebecca Moore e Joan Wasser) intrecciata a materiale d’archivio, ma non poi così classica. Gli audio registrati di Jeff diventano una voce narrante calda, viva, fino a che non se ne ascolta uno, mandato prima di quel giorno di primavera, alla madre. La domanda delle domande insieme alla risposta delle risposte: parla da solo, eppure aspetta i tempi di chi gli avrebbe dovuto parlare dall’altro lato.

Potrei scrivere per ore di come in Grace (uno degli album, se non l’album di tutti i tempi) ci sia sempre un ritorno, niente finisca davvero, nel sound, nei testi, nella voce che riverbera, ma è tempo di non leggere più e ascoltare.

It’s Never Over ha a che fare con qualcosa con cui aveva a che fare anche Into The Wild (2007), due grandi voci (per il film diretto da Sean Penn abbiamo la colonna sonora curata da Eddie Vedder) e quel bilico tra solitudine e compagnia. Come un gatto morente che ti cerca per restare qui ancora un po’, che ti chiede di rimanere con lui e se osi farlo potrai vederlo vivo ancora per un po’, o assistere alla sua morte, o ad entrambe le cose insieme.

Accolto al Sundance, lo aspettiamo alla Festa del cinema di Roma. Alla fine dei titoli di coda rimanete ancora un po’, osate un po’, restate in sala e solo così potrete vedere/ascoltare.